Scapigliatura
Il termine scapigliatura usato da Cletto Arrighi nel 1862 nel romanzo La scapigliatura e il 6 febbraio (Un dramma in famiglia), viene utilizzato per circoscrivere il particolare clima culturale della Lombardia nel secondo Ottocento, maturato in particolare attorno agli anni Sessanta-Settanta del secolo. Le istanze di rinnovamento dell’arte e l’atteggiamento degli artisti, che hanno favorito l’accostamento della scapigliatura al fenomeno della bohème parigina, mettono a fuoco il disagio della cultura milanese e il riferimento al repertorio maudit della letteratura europea nel momento della complessa trasformazione e inserimento del centro lombardo nel panorama dello sviluppo capitalistico europeo. Lo «spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti » (Arrighi) e il rifiuto polemico delle «regolari leggi del Bello» (Arrigo Boito) furono comun denominatore degli atteggiamenti di letterati, pittori e musicisti toccando la coscienza irrequieta di artisti lombardi come T. Cremona, L. Conconi, D. Ranzoni, ma anche i piemontesi L. Delleani e V. Avondo in rapporto con il letterato G. Camerana. La ricerca linguistica che tocca punte di lirico sentimentalismo coinvolge l’attività di letterati, musicisti e scultori; non a caso alcune personalità del gruppo mostrarono interessi per espressioni artistiche diverse sottolineando spesso la consonanza della ricerca (cfr. di E. Praga i versi intitolati Tavolozza del 1862 o il suo Trasparenze). La contestazione alle rigide classificazioni estetiche del romanticismo e della pittura accademica fu anche, per altro verso, motivo di opposizione, soprattutto inizialmente alla tendenza realista e all’arte intesa tout court come denuncia sociale. La scapigliatura espresse la sua preferenza verso un linguaggio «aperto», in grado di esprimere uno stato psicologico indefinito (T. Cremona, Signora al piano : Milano, coll. priv.), rifiutando la registrazione realistica del dato visivo, così come affermava Carlo Dossi: «non dir tutto... mantiene nelle opere d’arte la curiosità... il piacere» (Note azzurre). Tali posizioni, al di là dei clamori polemici ed eversivi, più congeniali al gruppo dei poeti e scrittori, si ricollegavano direttamente per i pittori agli orientamenti del primo romanticismo lombardo e all’esempio del Piccio, ai toni evocativi e avvolgenti dei suoi paesaggi e dei ritratti resi vibranti dalle pennellate che annullano i contorni per via di velature e trasparenze. Il dialogo del gruppo con le problematiche del «realismo» si precisa, tuttavia, sotto il segno della ricerca di una resa pittorica del «vero autentico», inteso come sintesi momentanea e mutevole di effetti luministici e cromatici, espressi in piena libertà dai vincoli dell’oggettività convenzionale, identificata polemicamente col disegno e col chiaroscuro della pittura di Hayez e Bertini, trionfante, ancora negli anni Sessanta nell’Accademia di Brera. Anche l’interesse per le recenti esperienze nel campo fotografico contribuirono alla sperimentazione di un linguaggio suggestivo di immagini illuminate e sfocate nei contorni, tralasciando i problemi legati alla resa oggettiva, meccanica, «impersonale » dell’obbiettivo fotografico.
(fonte: Raffaella Corti ed altri in Storia dell’arte Einaudi)