Courbet, Gustave
Jean Désiré Gustave Courbet, figlio di un proprietario agricolo, compì i primi studi al seminano di Ornans, poi al Collegio Reale di Besançon, e nel 1840 partì per Parigi, attratto da una carriera artistica in cui non ebbe né maestri né protettori. La formazione di Courbet, infatti, avvenne esclusivamente nelle gallerie del Louvre, davanti ai capolavori realisti degli spagnoli, dei fiamminghi e degli olandesi (copiò Velàzquez, Rembrandt, Frans Hals); ma a essa concorsero certamente anche i modelli della tradizione francese più vicina al realismo terrestre e contadino dei Le Nain nonché, indirettamente, il remoto archetipo del Caravaggio. Essenziale fu per Courbet, sin dagli esordi, l'avversione per qualsiasi tipo di idealizzazione: sotto questo aspetto, il suo rifiuto della pittura classicistica di paesaggio (N. Poussin, C. Lorrain) e del più recente movimento neoclassico trova riscontro e parallelo nella sua reazione antiromantica. Tuttavia, il rapporto dell'artista col romanticismo fu più complesso, e se guardiamo alle prime opere importanti tra il '42 e il '47 (Courbet col cane nero, 1842, Parigi, Petit Palais; L'amaca, 1844, Winterthur, Coll. Reinhart; Gli amanti felici, 1844-45, Lione, Musée des Beaux Arts; L'uomo con la pipa, 1846-47, Montpellier, Musée Fabre) vi riscontriamo, nell'ambito dell'insistita sperimentazione di un nuovo linguaggio realista, anche caratteri romantici. La vera esplosione della poetica di Courbet coincise però con gli eventi che dopo il 1848 consolidarono in Francia il campo politico democratico repubblicano.
Proprio nel '48 si formò il cenacolo realista che si riuniva nella birreria Andler, situata nella stessa rue Hautefeuille dove Courbet aveva il suo studio: vi convenivano artisti come H. Daumier, F. Bonvin, scrittori e critici come Ch. Baudelaire, L. Duranty, J. Champfleury e Th. Silvestre, politici e sociologi come P.-J. Proudhon e J. Vallès. In un clima di tensione populista e nel sorgere di nuove speranze nacquero così le grandi tavole dedicate alla storia umile ed eroica dei contadini e degli operai: Dopopranzo, a Ornans (1849, Lilla, Musée des Beaux-Arts), Gli spaccapietre (1849, distrutto nel 1945), Funerale a Ornans (1849-50, Parigi, Louvre), La vendemmia a Ornans (1849, Winterthur, Coll. Reinhart), L'incendio (1851, Parigi, Petit Palais). In queste tele Courbet applicava coraggiosamente concetti largamente eversivi rispetto alla tradizione: ricerca della forza plastica delle immagini, riproduzione analitica e cruda del reale, ottenuta anche attraverso l'impiego di una materia densa e cupa, applicata talvolta con la spatola; rappresentazione di episodi della vita comune e sistematico ripudio del tradizionale quadro storico. Esposte al Salon nel 1850-51, queste opere suscitarono reazioni opposte: entusiasmi scatenati, ma anche scandalo e sdegno per la « volgarità » di cui erano accusate.
Negli anni successivi Courbet avanzò sempre più su questa strada e dipinse opere come L'incontro (1854, Montpellier, Musée Fabre), la cui iconografia deriva dall'imagerie popolare, e L'atelier (1855, Parigi, Louvre), cui diede il sottotitolo di « Allegoria reale determinante una fase di sette anni della mia vita artistica »: quest'opera è forse la più grande di Courbet (3,61 x 5,98 metri); il pittore vi rappresentò se stesso contornato dai suoi amici, dai suoi temi e dalle sue idee personificate in varie figure, una summa della sua arte e del suo pensiero. Insieme al Funerale essa venne rifiutata dalla giuria dell'Esposizione universale del 1855; Courbet allora, in completo contrasto ormai con tutte le organizzazioni governative, accademiche e ufficiali, costruì a sue spese un edificio nei pressi dell'Esposizione, lo chiamò Pavillon du Réalisme e vi espose quaranta quadri. Courbet è stato il maggior naturalista del secolo; egli rappresentò una natura non piacevole o gioiosa, ma drammatica e profonda, non luminosa, gentile o fuggevole ma terrestre, materica, fitta di ombre, di spessori. Nell'ambito di questa poetica Courbet non escluse neppure la rappresentazione di episodi di vita dentro la natura, operando come « pittore della vita moderna » oltre che naturalista: in questa chiave ottenne quel capolavoro che è Ragazze sulle rive della Senna (1856, Parigi, Petit Palais). Nel 1861 aprì uno studio a Parigi, dove convennero una trentina di allievi. Nel 1862 soggiornò nella Saintonge, eseguendo numerosi paesaggi. La lunga permanenza in luoghi di mare (a Trouville per tutto il 1865 e parte del 1866 e a Etretat nel 1869) e l'amicizia con J. A. Whistler, E. Boudin e C. Monet, influirono poi sulla sua pittura, che si fece, in quegli anni, di tavolozza più chiara, più ricca di velature e sottigliezze cromatiche, attenta ai movimenti della luce sulle nuvole e sulle acque: La ragazza coi gabbiani (1865, New York, Coll. J. S. Deely); La donna fra le onde (1868, New York, Metropolitan Museum); Falesia a Étretat dopo la tempesta (1869, Parigi, Louvre). Del 1866 sono alcuni splendidi nudi femminili: La donna col pappagallo (1866, New York, Metropolitan Museum) e, famoso, Il sonno (1866, Parigi, Petit Palais).
In occasione dell'Esposizione universale del 1867 costruì ancora un padiglione personale al Rond-Point de l'Alma e vi espose 137 opere. Nel 1869 mandò al Salon un grande quadro con una scena di caccia invernale, di forza e spirito tolstoiani, Hallali del cervo (Besançon, Musée des Beaux Arts). Gli avvenimenti del 1870-1871 con l'assedio di Parigi e la Comune videro un Courbet fedele alle sue idee e conquistato a una travolgente passione politica; l'artista doveva riportare da quella partecipazione un senso di delusione amaro, giacché, caduta la Comune, gli fu contestata la responsabilità dell'abbattiménto della colonna Vendôme; condannato a sei mesi di prigione, dipinse in carcere un autoritratto (Gustave Courbet a Sainte-Pélagie, 1871, Ornans, Musée Courbet) e un gruppo di straordinarie nature morte (come La trota, 1871, Zurigo, Kunsthaus). Cominciò da questo momento la sua decadenza fisica e, in parte, artistica: liberato, ritornò a Ornans, ma nel 1873, in un nuovo processo, venne condannato a ricostruire a sue spese la colonna. Costretto così a fuggire, si rifugiò in Svizzera a La Tour-de-Peilz, vicino a Vevey (qui dipinse vedute del lago e del castello di Chillon).
L'interpretazione critica dell'opera di Courbet è sempre stata divisa tra coloro che, a cominciare da Champfleury (Il realismo, 1857) e da Proudhon (nel saggio Il principio dell'arte e il suo fine sociale, 1865), vi hanno visto l'esempio di un'arte di impegno politico e sociale, e coloro che hanno preso in considerazione solo la visione naturalistica, tendendo per lo più a tenere separata l'arte dalle idee. Gli studi più recenti hanno invece affrontato Courbet nella sua unità; è giusto ritenere che la sua vita e la sua ideologia siano inscindibili dal suo linguaggio, e affermare con Aragon che « il Courbet che dipingeva e il Courbet che voleva la felicità degli altri sono un solo uomo ». La sua opera, ripresa a distanza di decenni nel clima della ricerca realista e dell'urgenza di superarla, ha avuto influenza notevole sull'arte contemporanea, soprattutto su artisti come Cha'im Soutine, C.Permeke e N. de Staèl.
(fonte: Roberto Tassi in Enciclopedia Europea Garzanti)
Gustave Courbet apparteneva a un’agiata famiglia di agricoltori della Franca Contea; la sua vocazione artistica si risvegliò precocemente. Apprese i primi rudimenti dell’arte alla scuola di disegno di Besançon; nel 1839 partí per Parigi, per dedicarsi alla pittura. Studiò all’Académie Suisse sul modello dal vero e copiò al Louvre i maestri. Si indirizzò, fra essi, a quelli che lo attiravano per lo splendore dei colori e la ricchezza della materia pittorica, Veronese, Velázquez, Zurbarán, ed ebbe per Hals e Rembrandt una predilezione che si rafforzò durante il suo viaggio nei Paesi Bassi nel 1847. Sin dagli esordi affrontò generi molto diversi: paesaggi della Franca Contea natia, composizioni (Lot e le sue figlie, 1841 ca.: Parigi, coll. priv.), allegorie (la Notte di Walpurga, 1841 ca.: Salon del 1848, distrutta poco dopo). Ma il meglio dei suoi primi anni è nei ritratti, effigi dei parenti e soprattutto autoritratti, la cui prestigiosa galleria scandí la sua carriera. Comparve al Salon nel 1844 con uno di essi, l’Uomo con cane (1842: Parigi, Petit Palais), seguito presto dall’Uomo ferito (1844: Parigi, Musée d'Orsay), dagli Amanti felici (Salon del 1845: Parigi, Petit Palais; e Lione, Musée des Beaux Arts), dall’Uomo con la pipa (1846: Montpellier, Museo Fabre). Piú che di narcisismo ingenuo, quest’inclinazione a rappresentare se stesso attesta una ricerca su di sé tipicamente romantica. Le figure femminili dipinte in gioventú sono talvolta ispirate dagli scritti di Victor Hugo o di George Sand, come il Nudo sdraiato (1841 ca.: Boston, Museum of Fine Arts) o poeticamente trasposte dalla realtà (l’Amaca, Salon del 1845: Winterthur, coll. Oskar Reinhart). Quando aderí risolutamente al realismo, Courbet non dimenticò completamente quel romanticismo iniziale: le squillanti vesti delle Demoiselles des bords de la Seine (1856: Parigi, Petit Palais), che sfidano la moda, suggeriscono un mondo fatato, che è lo stesso della Dama di Francoforte (1858: Colonia, Wallraf-Richartz-Museum) e del Traliccio (1863: Toledo, Ohio, Art Museum).
L’anno 1846 segnò una svolta nella carriera di Courbet. Invitato in Olanda da un amico, ebbe dalla visione dei quadri di Rembrandt lo choc che determinò l’orientamento definitivo della sua arte. La Ronda di notte e la Lezione d’anatomia di Rembrandt gli rivelarono i mezzi per raggiungere il suo ideale di realismo. Tornato a Parigi dipinse il Pomeriggio a Ornans (grande quadro che lo stato acquistò dal Salon del 1849, oggi a Lilla, Musée des Beaux Arts). S’indovina in questo quadro, malgrado ciò che esso deve all’esempio dei Paesi Bassi, l’attenzione alla realtà vissuta che animò i due capolavori intrapresi nello stesso anno: gli Spaccapietre (distrutto a Dresda durante la seconda guerra mondiale) e Funerale a Ornans (Parigi, Musée d'Orsay), scandalo del Salon del 1850, che inaugurò le polemiche suscitate dal pittore. Gli stessi suoi ammiratori, come Delacroix, gli rimproverarono d’aver posto la potenza del suo mestiere al servizio della volgarità. In questa composizione Courbet raffigurò come universalità storica la quotidianità; infuse in personaggi che conosceva (di tutti si può fare il nome), in una scena paesana e familiare, una grandiosità e una nobiltà monumentali. Un medesimo sentimento improntò il Ritorno dalla fiera dei contadini di Flagey (1850: Besançon, Musée des Beaux Arts) e le Vagliatrici (1854: Nantes, Musée des Beaux Arts). La sua famiglia gli forniva i modelli di questi dipinti, che superano la scena di genere per fermare un istante storicamente vissuto. L’incendio (1851: Parigi, Petit Palais), immenso quadro incompiuto e unica scena urbana di Courbet, è anch’esso opera magistrale, una specie di risposta moderna alla Ronda di notte di Rembrandt. Il pubblico, già adombrato per la prosaicità dei soggetti, giudicò indecente il realismo dei suoi nudi. Al Salon del 1853 le Bagnanti (Montpellier, Museo Fabre) furono criticate violentemente. Ritrattista fedele della natura, fu geniale interprete della chiara luce tanto particolare della Franca Contea (le Signorine in campagna, 1852: New York, Metropolitan Museum of Art) e di quella secca luce meridionale che Courbet conobbe a Montpellier nel 1854 in occasione di un primo soggiorno presso un suo protettore, il collezionista Bruyas. Immortalò questa visita con L’incontro, ovvero La Fortuna saluta il genio, noto come Bonjour, monsieur Courbet! (Montpellier, Museo Fabre). Scoprí allora il mare, di cui lasciò immagini tanto concrete (Il mare a Palavas: oggi a Sète), e che ritrovò dal 1865 sulle coste della Manica (Trouville, Etretat), traducendone le ondate e i movimenti con un tocco robusto (L’onda, 1870: Parigi, Musée d'Orsay; Il mare, 1870: Berlino, Nationalgalerie). Allo scopo di presentarlo all’esposizione universale del 1855 Courbet concepí L'atelier (Parigi, Musée d'Orsay), composizione magistrale, paradossalmente sottotitolata Allegoria reale. Volle simboleggiare con l’ausilio di personaggi autentici le sue amicizie e i suoi ideali, le sue disapprovazioni e i suoi odi, fondendo i suoi sentimenti
d’uomo con le sue preferenze di pittore. Ritratti, nature morte, paesaggi illuminati dalla presenza d’uno dei piú bei nudi femminili della pittura francese compongono questa sintesi. Ma la giuria rifiutò l’opera, e con essa il Funerale a Ornans che l’accompagnava. Il pittore raccolse la sfida e costruí ai margini dell’esposizione una baracca chiamata «Padiglione del realismo». Vi presentò una Mostra di quaranta quadri... pubblicando nel catalogo il Manifesto del realismo; tra schiamazzi, sarcasmi e incoraggiamenti fu consacrato maestro del movimento. In seguito ogni Salon fu un pretesto di lotta. Le tappe piú notevoli furono: nel 1856 le Demoiselles des bords de la Seine (Parigi, Petit Palais); nel 1861 Il cervo stancato (Marsiglia, Musée des Beaux Arts), testimonianza della sua genialità nel dipingere la tragedia delle scene di caccia; nel 1866 il Rifugio dei caprioli (Parigi, Musée d'Orsay); nel 1869 l’Hallali del cervo (Besançon, Musée des Beaux Arts); nel 1870 infine la Scogliera di Étretat (Parigi, Musée d'Orsay), che unisce alla limpida luminosità dell’atmosfera l’affastellarsi massiccio delle rocce. La sua vita a Parigi fu intramezzata da numerosi spostamenti. Oltre ai frequenti soggiorni ad Ornans, viaggiò in Francia e all’estero. Tornò da Bruyas a Montpellier, nel 1858 percorse per cinque mesi un itinerario ricco di successi in Germania, e nel 1862 riportò da un giro in Saintonge le sue piú belle nature morte di fiori e di frutta. Le coste normanne lo attirarono dal 1865; vi dipinse nello stesso anno la Fanciulla dei gabbiani (New York, coll. priv.), lo splendente quadro delle Fanciulle inglesi davanti alla finestra (Copenhagen, Ny Carlsberg Glyptotek), nonché bagnanti dagli accenti del tutto moderni (la Signora col podoscafo, 1865: Parigi, coll. priv.), o ancora classici (Bagnante, 1868: New York, Metropolitan Museum of Art). Durante questo periodo, tra il 1864 e il 1870, dipinse i suoi nudi piú belli, la cui diretta sensualità è piena di poesia e di emozione, malgrado l’audacia di alcune presentazioni (Donna dal pappagallo: New York, Metropolitan Museum of Art; Le dormienti, 1866: Parigi, Petit Palais), pressappoco contemporanee del Bagno turco di Ingres.
Un padiglione collocato al pont de l’Alma accolse nel 1867 una mostra di un centinaio di sue opere. Raggiunse allora il culmine della gloria, e quando scoppiò la guerra del 1870, la sua fama era assicurata. Questo successo crollò dopo la Comune. La terza Repubblica lo accusò falsamente di complicità con gli insorti che avevano rovesciato la colonna Vendôme e lo condannò, in seguito a un velenoso processo, alla rovina e all’esilio. Incarcerato a Sainte-Pélagie, dipinse un ultimo Autoritratto (conservato a Ornans) e nature morte. Poi, costretto ad espatriare nel 1873, venne accolto dalla Svizzera. Spogliato dei suoi beni, minato dalle sofferenze morali e fisiche, il suo genio s’indebolí rapidamente: con le sue audacie, col suo disprezzo delle convenzioni, esasperò le opinioni piú sagacemente espresse dai suoi amici: Baudelaire, Castagnary, Duranty, Vallès e soprattutto Proudhon, che esercitò su di lui un cosí profondo influsso e di cui onorò la memoria nel 1865 col toccante ritratto del Petit Palais Proudhon e i suoi figli. Courbet fu sedotto dall’idea generosa e rivoluzionaria del socialismo, ma nel suo impegno manifestò piú ingenuità che fanatismo. La rivoluzione da lui introdotta nell’arte della pittura non si limitò a una scelta di temi tratti dalla vita quotidiana; egli vi aggiunse una tecnica nuova. Erede del realismo di Géricault, non ne praticò la maniera focosa: il suo tocco, massiccio e solido, ricorda la fatica dell’operaio e conferisce alla sua pittura una presenza concreta. Scambiò coi suoi contemporanei, che frequentò assiduamente (Corot, i pittori di Barbizon, Boudin, piú tardi Manet, Jongkind e Whistler), le nozioni luministiche che aprirono la via all’impressionismo; ma in Francia il suo influsso si limitò a un rinnovamento della visione e delle fonti d’ispirazione. La sua fattura energica non ebbe successori diretti in patria. Invece all’estero Repin in Russia, De Groux e Meunier in Belgio e soprattutto il tedesco Leibl ne compresero la lezione. È rappresentato in Francia, principalmente a Parigi (Musée d'Orsay e Petit Palais), Montpellier, Besançon, Caen, Lilla, e in importanti musei stranieri (New York [Metropolitan Museum of Art], Winterthur, Colonia, Budapest, Zurigo, Berna). Nella casa natale del pittore a Ornans è stato costituito un Museo Courbet.
(fonte: Hélène Toussaint in Storia dell’Arte Einaudi).
Il significato del realismo di Courbet.
Che cosa significa, per Courbet, il realismo che, fin dal 1847, propone come unica ragion d’essere dell’arte nel mondo del suo tempo?
Soltanto questo: affrontare la realtà prescindendo da ogni pregiudiziale filosofica, teorica, poetica, morale, religiosa, politica. L’arte comincia e finisce con l’arte: non ha una causa, non ha un fine. La realtà non è per l’artista nulla di diverso da ciò che è per gli altri; in sé non è nulla di concreto, è un insieme di immagini che l’occhio afferra. Ma se queste immagini debbono avere un senso per la vita, debbono farsi cose, essere per così dire rifatte dall’uomo. Solo così saranno veramente cosa sua, fatto della sua esistenza.
Courbet è il primo artista che si renda conto di che cosa propriamente significhi «essere del proprio tempo»: di un tempo, cioè, o di una società che stava mettendo a punto, con l’industria, una tecnica che, letteralmente, cambierà la faccia del mondo. Sarà una tecnica capace di tutto; potrà sostituire tutte le altre tecniche.
E qui Courbet si ribella: non potrà mai sostituire la tecnica dell’artista, che delle immagini viste dagli occhi fa cose concrete, aventi un valore autonomo. Il tempo dell’artista artigiano è finito; l’artista-intellettuale (Delacroix) è una. finzione della cultura borghese. In ogni caso, l’arte non farà più modelli, non servirà più a migliorare la qualità delle cose che l’uomo produce.
Ma è concepibile un mondo in cui le immagini perdano ogni significato?
In un mondo di cose debbono essere cose anch’esse; l’artista è colui che le fabbrica. E non le inventa, le costruisce: dà loro la forza di competere, di essere qualcosa che rimane e da cui non si può prescindere. Dipingere significa dare alla cosa dipinta un peso, un valore maggiori della cosa veduta: in breve, fare ciò che si vede.
Qual è il distacco e quale il percorso tra la cosa veduta, che subito scompare, e la stessa cosa dipinta, che resta?
Null’altro che il lavoro dell’artista (Marx avrebbe detto: la forza lavoro). Così il lavoro dell’artista diventa un paradigma del vero lavoro umano, inteso come presenza attiva dell’uomo nella realtà. L’artista è l’esempio di un lavoratore che non ubbidisce all’iniziativa e non serve l’interesse di un padrone, non sottostà alla logica della macchina. È insomma il tipo del lavoratore libero, che raggiunge la libertà nella prassi del lavoro stesso.
Ecco spiegato perché Courbet, socialista e rivoluzionario, non ha mai messo la pittura al servizio della propria, né dell’altrui ideologia. Il suo assunto ideologico si realizza nella pittura, ma non la condiziona dall’esterno. Perciò la pittura di Courbet è la cesura al di là della quale si apre tutta una nuova problematica, che non consisterà più nel domandare che cosa l’artista faccia della realtà, ma che cosa faccia nella realtà: per realtà intendendo la realtà storico-sociale non meno della realtà naturale.
(autore: Giulio Carlo Argan in L’arte moderna 1770-1970)