Corot, Jean-Baptiste Camille

Jean-Baptiste Camille Corot
Cognome: 
Corot
Nome: 
Jean-Baptiste Camille
Luogo di nascita: 
Parigi
Data di nascita: 
1796
Luogo di morte: 
Parigi
Data di morte: 
1875
Nazionalità: 
Francese
Biografia: 

 

Jean-Baptiste Camille Corot, nacque da un’agiata famiglia della piccola borghesia parigina. Il padre, prima parrucchiere, vendeva stoffe; la madre, modista, aveva una bottega bene avviata in rue du Bac. Ambedue progettavano per il figlio una carriera di negoziante; ma egli manifestò al riguardo tale ripugnanza e, avendo cominciato a lavorarvi, si comportò in modo talmente disastroso, che nel 1822 i genitori acconsentirono ai suoi desideri e gli assegnarono una piccola rendita perché potesse dedicarsi alla sua vocazione di pittore. Il giovane chiese consiglio a un contemporaneo, Michallon, il primo vincitore del prix de Rome per il paesaggio storico, istituito nel 1817. Questi lo spinse verso la pittura dal vero, invitandolo a dipingere quello che vedeva. La morte di Michallon mise presto fine a tali lezioni; Corot si rivolse allora al maestro del defunto, J.-V. Bertin. Da quest’ultimo, formatosi alla scuola neoclassica, apprese la scienza della disposizione di qualcuno dei suoi paesaggi storici, ove sopravviveva un ricordo di Poussin. Ma, da buon discepolo di P.-H. de Valenciennes, anche Bertin lo incoraggiò a lavorare dal vero. L’amico e storiografo di Corot, A. Robaut, ci ha serbato il ricordo di una quarantina di studi degli anni di apprendistato: paesaggi e figure che preludono all’intera sua opera. Nel 1825 Corot partí per l’Italia, dove restò tre anni. A Roma vigeva uno spirito nuovo tra i paesaggisti che vi accorrevano da tutta Europa. Nordici, tedeschi, britannici, russi si sforzavano di rompere con l’accademismo studiando all’aperto. Per le strade di campagna ricreavano nello splendore della luce mediterranea, con l’aiuto dell’armonioso equilibrio della natura, un’arte classica e realistica che non faceva appello ai maestri del passato. Corot visse emulando il gruppo di francesi, presso Aligny, Bodinier, E. Bertin, Léopold Robert. Nel corso di questo primo soggiorno non vide né Michelangelo né Raffaello. Non si deve scorgere in tale mancanza di curiosità, davvero sorprendente, né deliberata ostentazione né disprezzo, ma un’indifferenza profonda per gli esempi del passato. Tale fiducia nel proprio istinto non tradí Corot, di cui Millet ha potuto dire: «Ecco infine la pittura spontaneamente ritrovata». Già i primi studi italiani sono, per la loro autorità, quadri compiuti. Se l’artista s’impegnò a trarne dipinti piú «nobili», che dovevano piacere alla tradizionalista giuria del Salon, non li migliorò. Si confronti lo schizzo del Ponte di Narni (1827: Parigi, Louvre) col quadro che ne è derivato per il Salon del medesimo anno (Ottawa, National Gallery). Quest’ultimo non presenta piú la freschezza di visione, l’emozione del tocco che attestano, nello studio, la maestria che l’Italia rivelò in Corot. Se la critica avesse conosciuto prima quelle piccole vedute, il Colosseo, la Passeggiata di Poussin, Trinità dei Monti (1826-28: Parigi, Louvre), o anche quelle figure d’italiani rapidamente dipinte, si sarebbe mostrata meno severa. Viaggiando senza posa, l’artista percorse la Normandia, la Bretagna, la Borgogna, il Morvan, l’Alvernia, il Saintonge, la Piccardia, la Provenza, prolungando quest’incessante peregrinazione fino in Svizzera, nei Paesi Bassi, a Londra. Bazzicò i dintorni di Parigi (abitava per un certo periodo dell’anno a Ville-d’Avray) e rivide due volte l’Italia. Ovunque dipinse con la nozione (che sarà essenziale per gli impressionisti) che la luce crea la vita (Cattedrale di Chartres, 1830: Parigi, Louvre; Saint-Paterne d’Orleans, 1843: oggi a Strasburgo; il Molino di Saint-Nicolas-lés-Arras, 1874: Parigi, Musée d'Orsay). Lavorò anche a Barbizon e fu sensibile, come gli artisti che vi si raccoglievano, all’influsso dei pittori olandesi del XVII sec., benché esso sia temperato in lui dalla rivelazione italiana e dal suo spirito d’indipendenza. Lo attestano la Foresta di Fontainebleau (1831, Washington, National Gallery), la Veduta di Soissons (1833: Otterlo, Kröller-Müller), il Porto di Rouen (1834: Rouen, Musée des Beaux Arts). Queste tele esprimono un sentimento diverso da quelli dei paesaggisti di Barbizon. Mentre Rousseau caricava la sua pittura d’intenti filosofici, Corot rappresentò una natura serena, conferendole con la sua sensibilità «ingenua» piú anima che «intelligenza». L’Italia gli insegnò la potenza creatrice della luce, i cieli dell’Ile-de France gliene insegnarono la modulazione, espressa con un cromatismo madreperlaceo che inargenta tanto i dipinti riportati dal secondo viaggio in Italia nel 1834 (vedute di Volterra, Firenze, Venezia) quanto gli studi fatti ad Avignone nel 1836 (Parigi, Louvre; Londra, National Gallery; L’Aja, Museo Mesdag). Egli condusse alla perfezione un’arte che suscita l’atmosfera mediante le variazioni sottili di una tonalità cromatica. Moltissimi capolavori ne segnano le tappe: il Porto di La Rochelle (1852: New Haven, Art Gallery), la Cattedrale di Mantes (1868 ca.: Reims, Musée des Beaux Arts), la Torre campanaria di Douai (1871: Parigi, Louvre), l’Interno della cattedrale di Sens (1874: ivi), di un Corot quasi ottuagenario. Non soltanto la sapienza dei valori cromatici, ma anche la varietà della tecnica dà vita a questi paesaggi immutabili che ignorano il torpore: impasti, velature, strisciate si alternano sulla medesima tela. Dopo il 1835 la notorietà di Corot è assicurata non per questi schizzi, che per molti sono i piú attraenti, ma per i suoi invii ai Salon. Si tratta di composizioni elaborate che presentano vasti paesaggi animati da figure bibliche o mitologiche: Sileno (1838: Stati Uniti, coll. priv.), la Fuga in Egitto (1840: chiesa di Rosny), Omero e i pastori (1845: Saint-Lô), Distruzione di Sodoma (1857: New York, Metropolitan Museum of Art), Macbeth e le streghe (1859: Londra, Wallace Coll.), o anche paesaggi evocativi popolati di ninfe, Ricordi di Ville-d’Avrai o dell’Italia, ancor piú numerosi dopo il terzo viaggio nella penisola nel 1843. Questo aspetto dell’opera di Corot, che assicurò il successo del pittore, è stato troppo deprecato. Senza dubbio molti di questi quadri dalle nebbie iridate non giungono alla pienezza del Ricordo di Mortefontaine (1864: Parigi, Louvre); alcuni non sono che caligini grigiastre, dal tocco molle, di una soavità che sfiora la sdolcinatezza. Vanno messi da parte quelli invecchiati male, rosi dal bitume, quelli che si moltiplicarono per le esigenze della committenza. Si comprende l’intransigenza della critica circa questa produzione commerciale, ulteriormente avvilita dalla folla degli imitatori, anzi dei falsari, fecondi in «Corot per piccole borse». Tuttavia molti critici ne compresero il genio. Tra i primi lo riconobbe Baudelaire; Delacroix lo ammirò, benché personalmente Corot lo sconcertasse per il suo candore. In ogni tempo l’artista s’interessò della figura umana e piú particolarmente della donna: nudi casti o conturbanti (Marietta, 1843: Parigi, Petit-Palais; Ninfa coricata, 1856 circa, conservato a Ginevra), che avviano al capolavoro della Toeletta (1859: Parigi, coll. priv.), italiane in costume colorato schizzate dal vivo, ritratti dei parenti, emozionanti per la loro ingenua verità (Claire Sennegon, 1838: Parigi, Louvre) o per la loro tenerezza nostalgica che cela qualche segreto rimpianto (Dama in blu, 1874: ivi), figure di fantasia, ninfe o orientali sortite dal sogno, dai curiosi travestimenti, dalle toelette insieme semplici e ricercate (Lettura interrotta, 1868: Chicago, Art Inst.; La giovane greca, 1869 ca.: New York, Metroèpolitan Museum of Art; Fanciulle di Sparta, 1869 ca.: New York, Brooklyn Museum; Algerina sdraiata, 1873 ca.: Amsterdam, Rijksmuseum), fino al loro coronamento, la Donna con la perla (1869 ca.: Parigi, Louvre). Benché Corot non fosse un «disegnatore» vero e proprio, lasciò circa seicento disegni (di cui moltissimi sono conservati al Louvre), dalla tecnica e dal carattere diversi. Si tratta ora di un fine e agile reticolo, che dissecca foglie e rami, e analizza la struttura del suolo (Civita Castellana, 1827: Parigi, Louvre), ora di masse violentemente contrastate a carboncino (Macbeth, 1859: Copenhagen, Ordrupgaard Samling); essi sono generalmente appunti o indicazioni in vista del quadro. Taluni, all’opposto, costituiscono opere finite, ritratti (Fanciulla col basco, 1831: Lilla, Musée des Beaux Arts) o figure (Fanciullina accoccolata, 1838 ca.: Parigi, Louvre). Approdò con ritardo alla stampa; ma ne fu maestro: gli si debbono una quindicina di acqueforti e altrettante litografie, per la maggior parte paesaggi. La sua opera è piú ricca di pitture su vetro (quasi settanta), eseguite dal 1853 seguendo il nuovo procedimento messo a punto dai suoi amici di Arras, i fotografi Grandguillaume e Cuvelier e il pittore Dutilleux (la Biblioteca Nazionale di Parigi ne conserva trentadue lastre). L’opera di Corot è stata catalogata da A. Robaut, e pubblicata nel 1905 da E. Moreau-Nélaton. In quest’opera sono elencati quasi 2500 dipinti. Vanno loro aggiunti circa quattrocento pezzi autentici scoperti dopo l’inizio dei secolo. Quest’opera, già abbondante, è abusivamente cresciuta. Compiacenti e lucrose attribuzioni hanno introdotto col nome di Corot opere di Aligny, Bodinier, Bertin o Marilhat, approfittando della loro contemporaneità e della loro appartenenza a un’analoga poetica. Mani criminali hanno persino cancellato una firma travestendo cosí qualche loro quadro in Corot anonimo (per esempio, Villeneuve-lès-Avignon (Reims, nma), poco dopo restituito a Marilhat). Il mercato è saturo di copie, eseguite in perfetta buona fede ad Arras dagli amici del maestro, Dutilleux e Desavary, e dai suoi allievi (Français, Lapito, Poirot, Prévost), che hanno favorito moltissime frodi. Infine, la lista dei falsari, già lunga, è certo ben lontana dall’essere conclusa. Pochi artisti come Corot hanno stimolato il gusto dei collezionisti per le serie. Alcune di tali collezioni sono finite integralmente nei musei. Il Louvre di Parigi, che possiede 125 dipinti di Corot, accolse le collezioni Thomy-Thiéry, Moreau-Nélaton, Chauchard. Il Musée des Beaux Arts di Reims, tra i musei francesi di provincia il piú ricco di Corot, ha avuto in dono numerose collezioni della città. I quadri di Corot sono sparsi in tutto il mondo. Non c’è quasi museo che non ne possieda; ma la concentrazione piú importante, sia per numero che per qualità, si trova in America, in collezioni sia private sia pubbliche. La sua influenza fu minore di quanto si ritenga: uomo di grande riservatezza, fuggiva la dottrina, e limitava il proprio insegnamento ad esempi e consigli i cui confidenti furono spesso pittori modesti, amici devoti o persino plagiari. Aprí la strada a una moda creando un genere che provocò infatuazione (al di là dei numerosi seguaci, il piú valido dei quali resta Trouillebert), ma non improntò la generazione dei pittori che gli succedettero.

(fonte: Hélène Toussaint in Storia dell'arte Einaudi)

 


 

Jean-Baptiste Camille Corot, figlio di un mercante di stoffe e di una modista di origine svizzera, dopo aver terminato (1814) gli studi classici al liceo di Rouen, fu avviato a seguire le tradizioni di famiglia, nonostante la sua precisa vocazione artistica. Nel 1822 i parenti gli permisero di abbandonare il commercio e gli assegnarono una modesta rendita per consentirgli di seguire gli lstudi di pittura. Da questo momento la vita di Corot fu totalmente dedicata all'arte. Sotto la guida di CI. Michallon e di J. Bertin, allievi di P.H. de Valenciennes, un paesaggista, Corot iniziò la sua attività nel solco della tradizione neoclassica. Nell'autunno del 1825 intraprese il primo dei suoi viaggi in Italia, che si rivelò di decisiva importanza per la sua formazione. Fino al settembre 1828 soggiornò e dipinse a Roma, visitò Napoli e Venezia: come risultato del viaggio, portò con sé a Parigi una serie di quadretti a olio, paesaggi o figure (La basilica di San Pietro e Castel Sant Angelo, 1826-27, San Francisco, California Palace of the Legion of Honour; Italiana di profilo con un'anfora in testa, 1826-27, Parigi, Louvre), che, secondo l'uso del tempo, dovevano poi servire per grandi composizioni da eseguire in studio. Questi lavori, non destinati al giudizio ufficiale e rimasti sconosciuti al tempo di Corot, rivelano una ricerca pittorica autonoma e sono valutati oggi tra i primi esempi di pittura « en plein air » che prelude all'impressionismo. Dal ritorno a Parigi, Corot, più per una sorta di umiltà nei confronti della « Pittura » che per ricercare onori e fama, si sforzò di rispondere ai gusti predominanti, componendo grandi paesaggi solenni e severi d'ispirazione classica che spesso si richiamano a temi biblici, letterari o mitologici risonanti di canti e danze, di ninfe e pastori; e con essi partecipò più volte a esposizioni al Salon (Agar nel deserto [New York, Metropolitan Museum of Art], nel 1835 e Diana sorpresa al bagno da Atteone [New York, Metropolitan Museum of Art], nel 1836; Omero e i pastori [Musée des Beaux Arts et d'Histoire, Saint Lô, France], nel 1845). Il ricordo del viaggio in Italia, tuttavia, lo indusse a ispirarsi direttamente, e in maniera sempre nuova, alla natura: dopo alcuni viaggi nella provincia francese, alternati a soggiorni parigini e nella foresta di Fontainebleau, nel 1834 partì per la seconda volta per l'Italia, recandosi a Firenze (Firenze. Veduta presa dal giardino di Boboli, 1834, Parigi, Louvre), a Genova, a Venezia e sui laghi lombardi, in seguito visitò la Provenza, la Francia meridionale, la Savoia, la Svizzera, e nel 1843 si recò per la terza e ultima volta in Italia, soprattutto per rivedere Roma e la campagna romana (Marietta detta L'odalisca romana, 1846, Parigi, Musée du Petit Palais).Corot (Bracquemond)_small.jpg Dopo un lungo periodo in terra francese, dal 1854 al 1862 compì un'altra serie di viaggi. Nei paesaggi di questi anni le forme tendono a farsi più indefinite, in un'atmosfera di vibrante luminosità, acquistando un tono particolare fatto principalmente di mezze luci e di tonalità sfumate: Ville d'Avray (1845, New York, Metropolitan Museum), Il porto di La Rochelle (1851, New Haven, Yale University Art Gallery); Il campanile di Douai (1871, Parigi, Louvre). Da quanto Corot stesso scrisse del suo lavoro, emerge che egli, mentre era consapevole della necessità di salvaguardare le sue doti istintive di « presa » immediata sul motivo (« ...mai si deve perdere l'impressione prima che ci ha commosso »), attribuiva altrettanta importanza alla tecnica (« il disegno è la prima cosa da cercare, poi i valori; ecco i punti d'appoggio; quindi il colore e infine l'esecuzione »); non si sottrasse all'impegno di affinare i suoi strumenti pittorici neppure quando gli arrise il pieno successo, che culminò con l'Esposizione universale del 1855, in occasione della quale un suo quadro (Il carretto. Ricordo di Marcoussis, Parigi, Musée d'Orsay) venne acquistato da Napoleone III. Con l'avanzare dell'età, il suo stato di salute non gli consentì più di viaggiare con la frequenza degli anni precedenti ed egli risiedette prevalentemente a Parigi o a Ville d'Avray: soltanto nel 1872 si recò nuovamente in Normandia e nelle regioni settentrionali. Pur prevalendo in lui la pittura di paesaggio, Corot eccelse anche nei piccoli ritratti: amici e familiari, delicate figurine di fanciulli e di donne, sempre trattate con tocchi sensibili, irregolari e sfatti: La donna con perla (1868-70); La dama in azzurro (1874) entrambe al Louvre. Se gran parte della sua produzione degli uìtimi anni risulta artificiosa e abusa di quei toni argentati, di quei grigi perlacei, che costituivano allora la sua caratteristica di maggior successo, Corot mantenne ciò nonostante spesso intatta la sua straordinaria sensibilità, e alcune delle opere tarde (Veduta dell'interno della cattedrale di Sens, 1874, Parigi, Louvre) vengono considerate di altissimo livello.

(fonte: Flavio Caroli in Enciclopedia Europea Garzanti)