Via di campagna con cipressi
Provenienza:
- Firenze, Ugolino Panichi.
- Firenze, Collezione De Piccolellis.
Mostre:
- Collezione del dott. Panichi di Firenze: quadri moderni; macchiaiuoli toscani..., Casa di vendite Luigi Battistelli, Palazzo Mancini, Firenze, 1914.
- I Macchiatoli e l’America, Palazzo Ducale, Genova, 1992.
- Giuseppe Abbati 1836-1868, Centro per l’arte Diego Martelli - Castello Pasquini, Castiglioncello, 2001.
- Dai Macchiaioli ai Divisionisti. Grandi Protagonisti nella Pittura Italiana dell’800, Enrico • Gallerie d'Arte, Firenze, Palazzo Corsini, 26 Settembre - 4 Ottobre 2015 | Milano, 9 Ottobre - 19 Dicembre 2015, num. 1.
Bibliografia:
- Collezione del dott. Panichi di Firenze: quadri moderni; macchiaiuoli toscani..., Firenze, Casa di vendite Luigi Battistelli, Milano, 1914, n. 149, tav. VI.
- P. Dini, Giuseppe Abbati. L’opera completa, Torino, 1987, num. 79, pag. 263 (con erronea indicazione della collocazione).
- P. e F. Dini, D. Durbè, I Macchiatoli e l’America, Genova, 1992, num. 85, tav. LXI, pag. 255.
- F. Dini e C. Sisi, Giuseppe Abbati 1836-1868, Torino, 2001, num. 23.
- Angelo Enrico (a cura di), Dai Macchiaioli ai Divisionisti. Grandi Protagonisti nella Pittura Italiana dell’800, catalogo della mostra, Enrico • Gallerie d'Arte 2015.
Note:
Già affermato alle esposizioni pubbliche come pittore di interni monumentali, dopo la partecipazione alla campagna del 1859 che lo priverà dell’uso di un occhio e a tre anni dal suo trasferimento a Firenze, Abbati compie i suoi primi studi en plein air insieme al “piccolo e studioso cenacolo” di Castiglioncello e di Piagentina, di cui facevano parte gli amici Borrani, Sernesi, Lega, Signorini e Martelli, suo interlocutore privilegiato. A partire dal 1862, data riferibile alle opere in esame, il pittore napoletano comincia “a studiare all’aperto” nelle immediate colline fiorentine [1], da cui scaturiranno i primi motivi pittorici che esporrà l’anno seguente alla promotrice fiorentina e a quella torinese [2]. Predilige le strade del colle di Montughi, di Monte alle Croci o la campagna fuori Porta San Miniato, nei pressi della sua abitazione, dove quasi certamente sono ambientati la Via di campagna con cipressi qui esposta e il bellissimo studio a matita preparatorio qui riprodotto [3]. Proprio dalla sua abitazione, ricorda l’amico Martelli, partivano abitualmente le incursioni con gli amici macchiaioli nella vicina Chiesa di San Miniato e nei suoi verdi dintorni [4].
In questa piccola veduta, concentra attorno a un semplice motivo atmosferico luminoso, Abbati trascura “ogni implicazione narrativa del tema, per soffermarsi eminentemente su problemi formali” [5]. Il taglio compositivo è il medesimo utilizzato in alcuni capolavori di questi anni, precursori addirittura di certe “soluzioni novecentesche” [6], come la Stradina al sole del 1862 e le sue varianti [7]. Protagonista è sempre l’obliqua strada sterrata su cui sono posti, o la quinta del muro assolato, o la linea prospettica dei filari di cipressi e ulivi. La natura è ora vista soprattutto nella sua solenne veste architettonica. La scansione lineare dei tronchi di albero e quella delle fronde dei cipressi, da cui scaturiscono arcate quasi a tutto sesto, le ombre oblique sul suolo, la superficie triangolare del cielo a cui corrispondono quelle speculari della strada e della macchia collinare sullo sfondo, sono interpretati con lo stesso rigore geometrico che Abbati ricercava nella fuga delle colonne marmoree e nell’articolata orditura di ombre dei suoi interni chiesastici [8]. Entrambi i motivi, l’architettura e il paesaggio, sotto la forte impressione luministica offrivano ad Abbati non solo “il vantaggio di avere davanti a sé delle masse ben definite e dei contrasti decisi e quasi dirò elementari di colore e di chiaro scuro”, ma anche la possibilità di ricondurre su un livello unitario di sintesi pittorica l’impressione dei valori formali e cromatici suggeriti dal soggetto [9]. Scriverà Marabottini, infatti, come Abbati, “grazie alla sua precedente grande esperienza di internista, riesce a vedere la natura come una solenne, statica architettura, sulla quale riversa il proprio solitario, malinconico e forte sentire” [10].
Nella rigorosa resa formale per meditate scansioni cromatiche e chiaroscurali, Abbati riconduce l’impressione sul motivo paesaggistico sul piano di un’astrazione mentale. La luce solare è la nota dominante del dipinto, da cui sono regolati i rapporti di tono e di atmosfera. La scandita scala cromatica passa dalle masse più scure dei cipressi, a quelle grigio-argentee degli ulivi, al nitore purissimo del cielo sino ai caldi ocra della strada in terra battuta, dove si concentra la massima intensità luminosa, come negli arenili delle marine di Castiglioncello [11] o nelle pietre arse dal sole lungo le rive del Mugnone alle Cure [12]. La stesura relativamente trasparente per effetto della luce sembra pure coinvolgere le zone d’ombra proiettate sul suolo, motivo poetico del soggetto che anziché inspessirsi nella materia pittorica è toccato da rapide macchie cromatiche. La correttezza del disegno, la sintesi formale per geometrie nitide e l’inclinazione cromatica di smaltata lucentezza rimandano ancora una volta all’antico, alla tradizione purista quattrocentesca e a “quella dolce serenità che ritroviamo nelle spirituali tavolette dell’Angelico e di Domenico Veneziano” [13]. Lo studio analitico della luce, senza l’utilizzo della massima rilevanza luminosa del bianco de foglio, è ricercato pure nel disegno qui esposto, datato 1862. L’intera griglia tonale della veduta paesaggistica è infatti ridotta dal fondo uniforme della carta marroncina, entro cui la luce è sensibilmente misurata nei rialzi o abbassamenti tonali del segno. Il controllo assoluto del tratteggio a matita nera, a lungo meditato più che abbozzato, restituisce non solo la notazione cromatica dell’insieme - come la trasparenza del cielo, con brevissimi tratti appena spolverati -, ma anche la veridicità plastica di tutti gli elementi. Per questo, il segno si intensifica uniformemente nelle zone d’ombra per poi diramarsi in tratti più isolati e acuti sotto la pressione luminosa, fino a sfociare nel quasi impercettibile sfumato delle fronde degli ulivi che ne restituisce l’esattezza dei riflessi argentei. Sia il dipinto sia il disegno dimostrano come in Abbati la verità di visione da tradurre in macchia dovesse essere “un’elaborazione meditata nello studio e non una suggestione d’après nature” [14]. Tale era l’idea dell’arte secondo il presupposto concettuale, anti contenutistico riguardo al genere del paesaggio, dell’amico e critico Martelli: “una concezione della mente tale che, teoricamente parlando, si possa fare piuttosto di maniera che copiando, ma con tanta dose di sapere che la natura non venga mai sacrificata, per modo che l’opera apparisca evidente e commovente quanto la realtà stessa” [15]. Il disegno qui esposto, e altri dedicati a questo soggetto, provengono dalla collezione dello scrittore e critico letterario Renzo Levi Naim, figlio del pittore Ulvi Liegi, come riporta la nota del catalogo di vendita del nostro dipinto [16]. Quest’ultimo, dalla collezione dello scultore Ugolino Panichi passò probabilmente nel 1914 tramite la casa di vendite Luigi Battistelli di Firenze [17] alla raccolta di opere macchiaiole del violoncellista e direttore d’orchestra Ottavio De Piccolellis, di cui conserva ancora sul retro l’etichetta di provenienza. Una variante di questo soggetto, di dimensioni di poco inferiori e formalmente identica alla nostra se non fosse per la tenue riduzione dei contrasti luministici, pervenne alla Galleria nazionale d’arte moderna di Palazzo Pitti attraverso il legato di Leone Ambron [18].
1 Diego Martelli, l’amico dei macchiaioli e degli impressionisti, catalogo della mostra (Castiglioncello, Centro per l’arte Diego Martelli - Castello Pasquini, 3 agosto - 31 ottobre 1996) a cura di P. e F. Dini, Firenze, 1996, p. 89.
2 P. Dini, Giuseppe Abbati. L’opera completa, Allemandi, Torino 1987, p. 71, nota 1
3 F. Dini, Giuseppe Abbati, una retrospettiva, in Giuseppe Abbati 1836-1868, catalogo della mostra (Castiglioncello, Centro per l’arte Diego Martelli - Castello Pasquini, 14 luglio-14 ottobre 2001) a cura di F. Dini e C. Sisi, Umberto Allemandi, Torino, 2001, p. 29).
4 Diego Martelli, 1996, p. 94.
5 S. Bietoletti, in Silvestro Lega: i Macchiaioli e il Quattrocento, catalogo della mostra (Forlì, Musei San Domenico, 14 gennaio - 24 giugno 2007) a cura di G. Matteucci, F. Mazzocca e A. Paolucci, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano) 2007, p. 150, n. 25.
6 F. Dini, 2001, cit., p. 30.
7 P. Dini, 1987, pp. 250-253, nn. 60-62.
8 Ibid., pp. 226, 231, 247, 259, nn. 12-15, 23, 53, 72.
9 Diego Martelli, 1996, p. 91.
10 I Macchiaioli. Origine e affermazione della macchia: 1856-1870, catalogo della mostra (Roma, Museo del Corso, 16 maggio-24 settembre 2000) a cura di A. Marabottini e V. Quercioli, De Luca editore, Roma 2000, p. 31.
11 P. Dini, 1987, pp. 266-269, nn. 87-89.
12 P. Dini, 1987, p. 297, n. 135.
13 R. Baldaccini, Giuseppe Abbati, Cya Editore, Firenze 1947, p. 25.
14 C. Sisi, Giuseppe Abbati e le «melanconie del suo pensiero», in Dini-Sisi, 2001, p. 46.
15 Scritti d’arte di Diego Martelli, a cura di A. Boschetto, Sansoni, Firenze 1952, pp. 210-211.
16 Collezione del dott. Panichi di Firenze: quadri moderni; macchiaiuoli toscani..., Firenze, Palazzo Mancini, Casa di vendite Luigi Battistelli, 18-20 maggio 1914, Tip. E. Balzaretti, Milano 1914, n. 149.
17 Ibid.
18 P. Dini, 1987, p. 263, n. 78, con erronea indicazione della collocazione; Dini-Sisi, 2001, n. 21; Les macchiaioli. Des Impressionistes italiens?, catalogo della mostra (Parigi, Musée de l’Orangerie, 10 aprile-22 luglio 2013; Madrid, Fondación MAPFRE, 20 settembre 2013-5 gennaio 2014) a cura di M.-P. Vial, I. Retro dell’opera. Julia, B. Avanzi, M. L. Fernández, Skira Flammarion, Milano-Parigi 2013, pp. 183, 232, n. 110.
(fonte: Stella Seitun - Scheda nel catalogo della mostra Dai Macchiaioli ai Divisionisti. Grandi Protagonisti nella Pittura Italiana dell’800)