Tito, Ettore

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Cognome: 
Tito
Nome: 
Ettore
Luogo di nascita: 
Castellammare di Stabia (Napoli)
Data di nascita: 
1859
Luogo di morte: 
Venezia
Data di morte: 
1941
Nazionalità: 
Italiana
Biografia: 

 

Ettore Tito, inizialmente allievo a Napoli dell’olandese van Haanen, si stabilisce con la famiglia a Venezia, studiando all’Accademia con Pompeo Molmenti. L’opera con cui esordisce nel 1887, Pescheria vecchia a Venezia, di ispirazione decisamente favrettiana, riscuote un notevole successo e viene acquistata dal Governo per la Galleria Nazionale d′Arte Moderna di Roma. Dopo aver presentato alla I Esposizione internazionale veneziana, nel 1895, Fortuna e Processione,  Tito ottiene il primo premio all’edizione successiva con Sulla laguna; nel 1899, alla terza, è presente con Ondine, San Marco, Sulla diga, In laguna, Chioggia, Pelatrici di noci (disegno) e tre studi. Tito parteciperà in seguito a quasi tutte le edizioni della manifestazione, con mostre individuali nel 1912 e nel 1922. Alle prime opere, che sulla scia di Favretto ritraggono con stile realistico e virtuosismo tecnico e luministico scene di ambiente popolare veneziano (La chiromante, 1886; Ragazza allo specchio, 1895: entrambi a Venezia, coll. Tito), fa seguito la produzione matura, improntata a un eclettismo la cui fonte di ispirazione è la fastosa pittura veneta del Cinquecento e soprattutto del Settecento. Ai paesaggi, soprattutto marine (Sulla laguna, 1901: Udine, Galleria di Arte Moderna; Chioggia dopo la pioggia: coll. priv.), vengono ad aggiungersi scene allegoriche dal vago mitologismo, popolate da ninfe, veneri e amorini (Nascita di Venere, 1903: Venezia, Ca’ Pesaro; Baccanale, 1906: Milano, Galleria di Arte Moderna; Amore e le Parche: Roma, Galleria Nazionale di Arte Moderna). L’artista sviluppa una tecnica dal colore brillante e dalla pennellata briosa che denuncia anche la suggestione della pittura di successo di Zorn, Besnard, Sorolla, Sargent. I suoi preziosi ritratti femminili (L’amazzone, 1906: Genova-Nervi, Galleria di Arte Moderna; Donne: Trieste, Civico Museo Revoltella) hanno tangenze con la pittura boldiniana. Tito si cimenta inoltre in ampi affreschi allegorici e religiosi, come quelli nella Villa Berlinghieri a Roma e quelli nella chiesa degli Scalzi a Venezia (1933), che vanno a sostituire l’opera tiepolesca distrutta nel 1915.
La personale del 1919 alla Galleria Pesaro di Milano ne sancisce definitamente il successo. Nel 1929 Tito, che già insegnava all’Istituto delle belle arti, è nominato Accademico d’Italia. Nel 1932, alla XVIII Biennale veneziana che gli dedica una mostra retrospettiva, l’anziano Tito espone tra l’altro L’eterna storia, Quasimodo, La stalla, Alto Adige, Canefora. Alla Mostra dei Quarant’anni della Biennale (1935) sono presenti quindici sue opere, tra le quali l’importante tondo allegorico del 1910 raffigurante Il trionfo di Venezia. Fu anche scultore, con una totale adesione ai canoni classicistici (La sorgente, 1901: Venezia, coll. Tito).

(fonte: Elisabetta Canestrini in Storia dell'Arte Einaudi)

 


 

Ettore Tito, nato a Castellammare di Stabia il 17 dicembre 1859, di madre veneziana, fu condotto fanciullo a Venezia dove ha sempre vissuto e operato. Fu allievo dell'Accademia veneziana. Esordì all'arte in modo inevitabilmente favrettiano, come quasi tutti gli altri pittori suoi contemporanei, scegliendo i suoi motivi nella vita popolare della città della Laguna. Opera sua più importante, in tal genere, è quella Pescheria vecchia del 1887 alla Galleria nazionale d' arte moderna di Roma. Su tale realismo vernacolo egli non insiste molto, e ritorna ad esso, in modo sporadico, e più libero, come in Sulla Laguna, in Pelatrici di noci e in motivi di Chioggia. Il Cinquecento e il Settecento veneziani l'orientano verso un largo decorativismo che prende in lui carattere di quasi neobarocchismo assai piacevole e vibrante. Un disegno sensibile e sinuoso, un tocco preciso e vivissimo, un brillare di colore assai più ricco di pigmento che di tono lo farebbero rappresentante egregio di quel particolare modo di dipingere, di un dato momento dell'Ottocentismo europeo, che fu di Sargent e di Zorn, di Boldini e di Sorolla, se quel neobarocco di cui s'è detto non creasse a Tito una specie di stilismo pittorico particolare. Ad esso perciò va riportato quel suo mitologismo di ondine, di centauri, di baccanali, di ninfe, di amorini, di parche, di veneri, di tritoni; quel suo comporre in maniera larga e popolosa, come in La Gloria di Venezia, in Il 25 aprile 1912, nelle decorazioni del vestibolo della villa Berlingeri a Roma, nella sua ultima fatica del soffitto della chiesa degli Scalzi a Venezia. Decorativismo visivo, virtuoso e di superficie che gli ha suscitato le acerbe critiche di coloro che preferiscono pittura più costruita, più sostanziosa ed essenziale, e che lo ha fatto considerare, a torto, una specie di Paolo Veronese o di Tiepolo con la Kodak.
Ma, ove, fuori dell'aneddoto vernacolo e dello pseudo settecentismo d'occasione, Tito opera in modo da contemperare tali tendenze bilanciandole sul filo d'una sua serena sensibilità, in paesaggi ariosi, in visioni alpestri, in larghe piane con bovi all'aratura, in luminosi idillî, in lagune d'un blu bellissimo, quasi minerale, egli dà il massimo delle sue possibilità pittoriche. Tali motivi amati e ricercati da collezionisti gli hanno dato agiatezza e rinomanza. Sue opere si trovano nelle principali gallerie d'Europa.

(fonte: Michele Biancale in Enciclopedia Italiana, 1937)