Pellizza, Giuseppe

Giuseppe Pellizza alias Pelliza da Volpedo
Cognome: 
Pellizza
Nome: 
Giuseppe
Alias: 
Pellizza da Volpedo
Luogo di nascita: 
Volpedo (Alessandria)
Data di nascita: 
1868
Luogo di morte: 
Volpedo (Alessandria)
Data di morte: 
1907
Nazionalità: 
Italiana
Biografia: 

 

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Autoritratto, 1899Giuseppe Pellizza, nacque a Volpedo, in provincia di Alessandria, il 28 luglio 1868, da Pietro e da Maddalena Cantù, secondo di tre figli, dopo Maria, la sorella maggiore, e prima di Antonietta, la più piccola, in un’agiata famiglia di agricoltori.

Il padre, convinto garibaldino di idee radicali e anticlericali, partigiano della causa risorgimentale, si era distinto per il suo impegno all’interno della locale Società di mutuo soccorso (per tutte le notizie sul pittore e sulla sua famiglia, si rimanda, più diffusamente, al profilo biografico tracciato da Aurora Scotti nel catalogo generale dell’artista, 1986).

Nella grande casa di Porta Sottana, alla periferia di Volpedo, circolavano giornali politici e periodici illustrati, sulle cui pagine Giuseppe, ancora bambino, si esercitava a copiare vignette e riproduzioni, rivelando un precoce talento per il disegno. Fu così che i genitori decisero di dare al loro unico figlio maschio una formazione artistica, dopo gli studi elementari e tecnici attesi a Castelnuovo Scrivia. Convinti che l’Accademia di Brera fosse l’opzione migliore verso cui indirizzare la vocazione del giovane, si rivolsero ai Della Beffa, amici di lungo corso della famiglia e residenti a Milano, i quali a loro volta chiesero consiglio ad Alberto Grubicy de Dragon. Fu per il tramite di quest’ultimo che nel 1883, ormai trasferitosi nel capoluogo lombardo, Giuseppe preparò l’ammissione all’Accademia nell’atelier del pittore Giuseppe Puricelli, che lo faceva esercitare nello studio del vero e nei generi del ritratto e della natura morta.

Nel gennaio del 1884 Pellizza risultava già iscritto regolarmente a Brera agli insegnamenti di ornato e di disegno di figura. Contestualmente, per completare la propria formazione e saggiare, accanto alla pittura, altre forme di linguaggio, nel novembre del 1884 s’iscrisse alla Scuola superiore d’arte per la professione di scultore e alla Famiglia artistica per sperimentare le tecniche dell’acquaforte e della litografia. Di queste prime prove di studio rimane una copiosa documentazione, in prevalenza grafica, puntualmente schedata nel catalogo generale dell’artista: soprattutto nudi, copie dall’antico, d’après, ornati, schizzi, bozzetti, rilievi, esercitazioni su singoli particolari (Scotti, 1986, catt. 1-399, alla cui numerazione d’ora in poi si farà sintetico riferimento fra parentesi per tutte le altre opere citate). Gli anni dei corsi a Brera (1884-87) furono puntellati da numerosi premi e segnalazioni e dalle partecipazioni alle mostre degli allievi dell’Accademia: il debutto espositivo data al 1885 con il dipinto La piccola ambiziosa (cat. 141).

Nel 1886, dopo la partenza di Puricelli per la Russia, Giuseppe cercò un secondo maestro con cui mantenere un esercizio quotidiano della pittura, di là dai corsi seguiti in Accademia. Il professore Ferdinando Brambilla gli suggerì il nome di Pio Sanquirico che, a differenza di Puricelli, lo sollecitò alla studio della natura e alla pratica della pittura di paesaggio en plein air. Del 1887 è quindi il soggiorno in Canton Ticino, a Giubiasco, a casa di Edoardo Berta, e a Ligornetto, dove Giuseppe visitò lo studio di Vincenzo Vela. Nell’estate dello stesso anno il confronto con gli artisti in mostra all’Esposizione nazionale di Venezia lo convinse dell’opportunità di lasciare Milano e di cercare altrove nuovi stimoli. La scelta cadde sull’Accademia di S. Luca di Roma dove l’artista fu ammesso a frequentare i corsi nel novembre del 1887. S’iscrisse anche alla Scuola libera del nudo dell’Accademia di Francia a villa Medici, ma, insoddisfatto dei docenti incontrati e dei loro insegnamenti, decise per un rapido trasferimento a Firenze. Nel gennaio del 1888 risulta così già iscritto all’Accademia di belle arti del capoluogo toscano, dove ebbe per insegnante Giovanni Fattori e per compagni di corso Plinio Nomellini e Guglielmo Micheli. A quest’occasione risale l’amicizia con Silvestro Lega e con Telemaco Signorini. Del novembre dello stesso anno è il trasferimento all’Accademia Carrara di Bergamo, dove il pittore, ormai ventenne e fuori età, venne accolto come allievo ‘speciale’ da Cesare Tallone. A questa circostanza datano anche i primi interessi per la fotografia, grazie alla mediazione di Berta (sull’amicizia fra i due: Documenti di un’amicizia artistica, 2001; più in generale, sugli interessi di Pellizza per la fotografia: Scotti, 1981, e Pellizza e la fotografia, 2007). Del 1889 è invece il primo viaggio a Parigi, in visita all’Esposizione universale, interrotto bruscamente per la morte della sorella Antonietta. Di questa tragica esperienza rimane testimonianza nel dipinto Ricordo di un dolore (cat. 512), donato nel 1897 all’Accademia bergamasca quale tributo agli anni trascorsi in città.

Dopo una breve parentesi presso l’Accademia ligustica di Genova alla fine del 1890, l’artista considerò finalmente conclusa la propria formazione e allestì uno studio in un locale adiacente alla casa paterna a Volpedo (Pernigotti, 1998; Scotti Tosini, 1998). Nel 1891 partecipò alla I Triennale di Brera con i grandi ritratti dei due genitori (catt. 526 e 531), oggi nello Studio Pellizza a Volpedo, Il mediatore (Ritratto di Giuseppe Giani) (cat. 610), ora nel Museo della scienza e della tecnica di Milano, e Pensieri (Teresa) (cat. 608); quindi, nel 1892, alla Promotrice di Torino, e, subito dopo, alla Permanente di Milano, dove espose Prime nebbie (cat. 673), e all’Esposizione italo-americana di Genova, in cui il dipinto Mammine (cat. 756) gli valse la medaglia d’oro. Fu Nomellini, ritrovato in questa occasione, a invitare Pellizza al confronto con la tecnica divisionista, sulla falsariga di quanto già realizzato da lui stesso, da Giovanni Segantini, Angelo Morbelli e Gaetano Previati (Scotti, 1985). Il 1892 fu anche l’anno delle nozze dell’artista con Teresa Bidone, già sua modella per la figura femminile ritratta in Pensieri.

Ai primi anni Novanta datano i primi studi su Il quarto stato, forse il dipinto più noto di Pellizza e frutto di una decennale elaborazione teorica e concettuale, la cui lunga gestazione sollecitò la necessità di approfondimenti e nuove ricerche, tanto da spingere l’artista a iscriversi all’Istituto di studi superiori di Firenze, per compensare le lacune della sua formazione tecnico-artistica. Nel capoluogo frequentò le lezioni di storia di Pasquale Villari, improntate a un radicale positivismo, e quelle di estetica di Augusto Conti, alfiere di un idealismo spiritualista prossimo all’ambiente estetizzante de Il Marzocco, con i cui redattori il pittore è documentato lungamente in contatto (Carechino - Scotti - Vinardi, 2012).

Rientrato definitivamente a Volpedo da Firenze, e soddisfatto dei risultati raggiunti, Pellizza presentò alla II Triennale di Brera, nel 1894, le prime opere divisioniste, Speranze deluse (cat. 842) e Sul fienile (cat. 799), che raccolsero grandi consensi fra critici, artisti e collezionisti: Speranze deluse venne acquistato dall’ingegnere Grün di Locate di Triulzi.

Nella stessa circostanza Pellizza conobbe Segantini e Morbelli, con i quali rimase a lungo in rapporti di profonda stima e amicizia, come testimoniano i cospicui scambi epistolari con entrambi. In particolare, Morbelli fu un interlocutore privilegiato per tutte quelle questioni di fisica ottica sull’azione della luce nella scomposizione dei colori e quindi nella loro percezione, alla base delle sperimentazioni divisioniste di questi anni (Archivi del divisionismo, 1969; Poggialini, 1971; Cappellaro, 1983).

Pellizza fu tra i più metodici e ortodossi sperimentatori del linguaggio divisionista (L’età del divisionismo, 1990; Scotti, 1990). Importanti notazioni sul suo modus operandi sono emerse di recente dagli interventi di restauro condotti sia sui dipinti (Cisternino, 2007; Poldi, 2007; Cagnini - Cavalca - Galeotti et al., 2006 [2007]; Radelet - Laquale, 2007; Radelet - Scotti Tosini, 2009; Mastroianni - Radelet - Laquale, 2010), sia sui disegni su carta (Gianferrari - Micheli - Montalbano, 2009 [2010]; Montalbano - Rigacci, 2011 [2012]).

Dalla metà degli anni Novanta del XIX secolo alcune delle più autorevoli voci della critica militante in Italia – Neera (Anna Radius Zuccari), Vittorio Pica (Lacagnina, 2014), Ugo Ojetti (sull’interesse di quest’ultimo per la pittura divisionista: De Lorenzi, 1997) – iniziarono a occuparsi del lavoro di Pellizza in maniera regolare. Il 14 gennaio 1895 il pittore venne nominato socio onorario dell’Accademia di Brera. Nello stesso anno inviò alla I edizione della Biennale di Venezia le opere divisioniste Processione (cat. 895) e Ritratto della signora Sofia Abbiati (cat. 904).

Ripresi gli studi per Il quarto stato, provvisoriamente intitolato ora Ambasciatori della fame (cat. 933) ora Fiumana (cat. 943), Pellizza portò avanti un serratissimo lavoro di documentazione sui contenuti dell’opera, abbonandosi alla rivista Critica sociale e leggendo tutti gli opuscoli della Biblioteca popolare (Scotti, 1990). Di sicuro giovarono alla riflessione sia la sua elezione a vicepresidente della Società agricolo-operaia di mutuo soccorso di Volpedo sia il sostegno, vissuto in prima persona sin dagli anni di gioventù accanto al padre, alle questioni contadine e operaie (Zimmermann, 2005).

Dopo un viaggio a Roma e a Napoli, con visite nei rispettivi musei e nei siti archeologici di maggior rilievo, Pellizza partecipò alla I Triennale di Torino nel 1896 con le opere Sul fienile, Mammine e Processione (Martinelli, 1896). In città ebbe modo di stringere amicizia con Leonardo Bistolfi, Giovanni Cena e con l’avvocato Pio Vazzi di Alessandria, critico d’arte interessato al simbolismo.

A queste date, e per il tramite di contatti fiorentini, furono pubblicati due articoli a firma dell’artista: Luce pittura divisionismo, nel dicembre del 1896 (su Cronaca dell’esposizione, la rivista della Festa dell’arte e dei fiori di Firenze), e Il pittore e la solitudine, nel gennaio 1897, su Il Marzocco. Nello stesso anno, senza parteciparvi, visitò la III Triennale milanese, in cui aveva tentato invano di ordinare una sala divisionista con opere proprie, di Morbelli e di Segantini, e la II edizione della Biennale veneziana, in cui restò colpito dalla sala dedicata alla grafica giapponese.

Nel 1898 partecipò con successo all’Esposizione nazionale di Torino, dove pure aveva provato inutilmente ad allestire una sezione dedicata alla pittura divisionista. In particolare, il dipinto Lo specchio della vita (E ciò che l’una fa e l’altre fanno) (cat. 1002), presentato per la prima volta in quell’occasione, suscitò l’interesse di molti letterati, fra i quali Antonio Fogazzaro, Francesco Pastonchi, Angiolo Silvio Novaro e Neera (Thovez, 1898).

Nel 1899 l’invio dell’Autoritratto cat. 1006), oggi nella Galleria degli Uffizi di Firenze, alla III Biennale di Venezia divise pubblico e addetti ai lavori, per il carattere criptico e cerebrale della sua ispirazione ad alto contenuto simbolico: stroncato da Ojetti, e motivo di rottura con l’amico Nomellini, fu invece molto apprezzato da Pica (1899 e 1907, con qualche riserva). Nello stesso anno l’artista, rimasto profondamente turbato dalla morte di Segantini, accentuò l’interesse per la pittura di paesaggio d’intonazione spiritualista e psicologista, tentando così di raccogliere l’eredità simbolista del maestro trentino.

Nel 1900 la partecipazione all’Esposizione universale di Parigi con Lo specchio della vita fu salutata da un discreto successo. La presenza dell’artista nella capitale francese è documentata dagli appunti manoscritti sul catalogo della manifestazione e in particolare sulle pagine dedicate alle opere di Georges Seurat in mostra (Scotti, 1986).

Nel biennio a cavallo fra i due secoli, scandito dalla nascita delle due figlie Maria (1899) e Nerina (1902), il pittore completò l’ambizioso dipinto Il cammino dei lavoratori, solo alla vigilia della sua presentazione ufficiale alla Quadriennale torinese del 1902 ribattezzato con il titolo Il quarto stato, sulla scorta degli scritti di Jean Jaurès sulla Rivoluzione francese discussi con l’amico tortonese Aristide Arzano.

L’opera divenne immediatamente un’icona rivoluzionaria del Novecento: manifesto politico di un socialismo umanitario schierato accanto alle lotte dei lavoratori e, in quanto tale, riscosse un immediato e unanime consenso ‘di partito’, che valse anche al pittore l’invito, subito declinato, a una candidatura elettorale nelle fila socialiste (Onofri, 2009).

Dal punto di vista critico e collezionistico, il tiepido accoglimento della grande tela, per la quale l’artista aveva sperato inutilmente in un acquisto pubblico o almeno in un riconoscimento da parte della giuria dell’Esposizione, lo spinse a dedicarsi quasi esclusivamente alla pittura di paesaggio. Scoramento, delusione e ragioni di spiccia sopravvivenza – la scelta di rimanere a vivere a Volpedo aveva tagliato fuori l’artista dai circuiti commerciali – lo convinsero a ripensare temi e strategie espositive: non più dunque solo le esposizioni ufficiali, nazionali e internazionali, ma anche le molte manifestazioni promosse dalle Promotrici locali; non più impegnativi quadri ‘a tema’, ma indagini sempre più libere sulla rappresentazione di natura e paesaggio. Le frequenti incursioni di questi anni sull’Appennino ligure-piemontese e poi anche sulle Alpi, sulle orme del maestro Segantini, confermano un preciso indirizzo di ricerca: dipinti quali Idillio campestre (cat. 1079), esposto alla Biennale di Venezia nel 1903, Pomeriggio di aprile (cat. 1183), in mostra, nel 1904, all’Esposizione internazionale d’arte di Monaco e, nel 1905, alla Biennale di Venezia, e Mattino di maggio (cat. 1185), in mostra nel 1904 alla LIII Esposizione della Società promotrice di belle arti di Torino, ne sono la testimonianza più eloquente.

La pittura di Pellizza riscosse una certa fortuna nelle Esposizioni internazionali d’arte di Monaco (1901, 1904, 1905), Berlino (1902) e Hannover (1905), ma stentava ancora a essere riconosciuta in Italia, dove fallì il progetto di una sala personale, in cui riproporre al grande pubblico la visione de Il quarto stato, in occasione dell’Esposizione internazionale di Milano del 1906.

Avvilito da questa prospettiva, ma rinfrancato dai primi acquisti, soprattutto di ritratti, da parte di collezionisti privati, nei primi mesi del 1906 Pellizza decise di trasferirsi per qualche tempo a Roma, dove partecipò alla mostra annuale della Società amatori e cultori di belle arti ed entrò in contatto con Giacomo Balla, Umberto Boccioni e Gino Severini (Rebora, 1991; Fagiolo Dell’Arco, 2000). Nel corso dell’anno arrivarono due importanti riconoscimenti pubblici: il ministero della Pubblica Istruzione acquistò il dipinto Il sole (1904) per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma (cat. 1188) e il re Vittorio Emanuele III comprò il dipinto Lo specchio della vita (1898) per la Galleria d’arte moderna di Torino.

Dopo una serena estate trascorsa in Engandina, ancora nel segno del magistero segantiniano, a fine anno l’artista fece ritorno nella capitale dove, forte del successo conquistato, programmò una nuova apparizione pubblica de Il quarto stato, in mostra nel 1907 alla LXXVII Esposizione della Società amatori e cultori di belle arti. Il dipinto, oggi conservato nel Museo del Novecento di Milano, fu acquistato per sottoscrizione pubblica nel 1920 (Scotti Tosini, 2013). I primi mesi dell’anno furono segnati da due tragici lutti: la perdita del primo figlio maschio, Pietro, appena nato, e subito dopo della moglie Teresa. Sopraffatto dalla disperazione l’artista pose fine alla propria vita impiccandosi nello studio di Volpedo il 14 giugno 1907.

(fonte: Davide Lacagnina - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82, 2015)

 


 

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Autoritratto [dettaglio]La sua prima formazione si svolse a Milano tra il 1883 e il 1887, dove frequentò l’Accademia di Brera, risentendo gli echi della scapigliatura e particolarmente di Ranzoni. Dopo un breve soggiorno a Roma e a Napoli, nel 1888 frequentò per qualche mese l’Accademia di Firenze, dove ebbe per compagno Nomellini e frequentò Lega. Ma tra il 1888 e il 1889, Pellizza era stato anche allievo a Bergamo della scuola libera di Tallone, che lo aveva incitato verso un modellato più fluido di quello macchiaiolo. Anche il viaggio a Parigi nel 1889 per l’Esposizione Universale riconfermò a Pellizza (che vide soltanto questa «mostra ufficiale») che la strada del realismo, era quella da seguire magari come in Lepage, nell’adesione alla vita contadina. Al ritorno cercò di disporre il colore a tratti allungati, come nello sfondo dei Ritratti dei genitori (1889-90); su questi tentativi si innestò la conoscenza delle tele divisioniste alla Triennale di Brera del 1891; il divisionismo era quanto Pellizza riteneva mancasse alle sue opere per raggiungere un massimo di «verità». Tra le tele che impressionarono il giovane Pellizza c’è Piazza Caricamento a Genova di Nomellini. Indicativa è una lettera, del 1892, di Pellizza all’amico: «... tengo per norma giustissima che i colori messi puri sul dipinto dan maggiore luminosità e brillantezza non noto se messi a puntini o a lineette ecc. mi son convinto per prove». Questi appunti si erano sostituiti alle dichiarate intenzioni e propensioni per i quadri allegorici sull’umanità, che nel 1888 lo avevano portato a progettare un quadro sull’«Umanità che sempre si pasce del progresso di cui gli uomini grandi la nutrono – essi a ogni nuova scoperta che fanno a ogni opera sublime che producono non fanno altro che farlo progredire in venustà e sapere». Nel 1893-94 aveva sentito l’esigenza di ampliare le sue conoscenze culturali: recatosi a Firenze, vi aveva frequentato all’università le lezioni dello storico Pasquale Villari e le lezioni di estetica di Augusto Conti. Dopo i tentativi di Mammine (1892), Pellizza raggiunse esiti scientificamente sicuri in Speranze deluse e Sul fienile, esposti alla seconda Triennale di Brera nel 1894. Non a caso con queste sue opere Pellizza ebbe fortuna presso il pubblico delle esposizioni: Mammine aveva avuto nel 1892 la medaglia d’oro all’Esposizione Colombiana di Genova; Speranze deluse fu acquistato nello stesso 1894 dall’ingegner Ponti Grünn di Locate Triulzi; Sul fienile fu scelto come opera da assegnare in dono a uno dei soci della Società Promotrice di belle arti di Torino nel 1896. Dal 1894-95 Pellizza aveva però iniziato ad acquistare tutti gli opuscoli socialisti e marxisti editi da «Critica sociale»: infatti egli intendeva sviluppare la via intrapresa con un bozzetto dal titolo Ambasciatori della fame fin dal 1891-92, e per il quale, negli anni Novanta, aveva potuto trarre spunto solo nelle opere di Longoni. La prima idea era stata fornita a Pellizza da manifestazioni operaie urbane (come documentano alcuni schizzi) ma, subito, per coerenza con il mondo rurale della sua vita (a Volpedo nel 1890 aveva deciso di vivere e di lavorare) tradusse questo motivo nella realtà contadina. I contadini volpedesi, sino allora ritratti singolarmente e come individui isolati, divennero i protagonisti di un episodio della lotta di classe, uno sciopero e una marcia di protesta, ambientata nella piazzetta di Volpedo antistante Palazzo Malaspina. I gesti dei lavoratori facevano riferimento più che alla solidarietà umanitaria, postulata dalle società di mutuo soccorso, alla combattività delle leghe di resistenza contadine. Il passaggio da Ambasciatori della fame al più vasto Fiumana (il cui titolo entusiasmò Tumiati) fu il frutto di uno strenuo impegno intellettuale e di una lunga meditazione sui valori della classe contadina; e in nuovo approfondimento, Pellizza maturò nel 1898, anno delle repressioni milanesi di Bava Beccaris il definitivo Il Cammino dei lavoratori o Quarto Stato. La tela aveva raggiunto le dimensioni di un manifesto-stendardo, rivolto ai contadini e agli operai stessi che avevano posato per le sue figure (nel 1897 e 1898 quello di sinistra Clemente Bidoni; nel 1899 quello centrale Giovanni Zarri, entrambi muratori ma anche lavoratori della terra). L’impegno anche fisico di Pellizza era stato enorme; ma, alla esposizione torinese del 1902, constatò che la pittura italiana aveva marciato in tutt’altra direzione: nutrì il dubbio che il suo lavoro non fosse più attuale, dubbio che i critici d’arte sembrarono confermargli, ma negarono decisamente i giornali e la stampa di classe. La vitalità dell’immagine si manifestò subito in un ambito diverso da quello tradizionale, attraverso cioè la riproduzione fotografica, che esaltava la concreta sintesi delle immagini. Semplificata da questo medium, che ne eliminava gli aspetti tecnici più riferibili al processo pittorico, diffusa presso un pubblico assai più ampio di quello delle esposizioni artistiche, il Quarto Stato ebbe valore proprio per i contenuti non contingenti, ma globalmente progressivi di incitamento ad affermare ineluttabile l’emancipazione del proletariato che esso esaltava e celebrava. Questi contenuti si riattualizzavano a ogni riproduzione, caricandosi di volta in volta di diverse sfumature più o meno rivoluzionarie, secondo il contesto socialista in cui veniva utilizzata, liquidando i legami con la tradizione pittorica ottocentesca; mutandosi cioè da immagine pittorica in manifesto politico, comunicando contenuti d’avanguardia ai primi anni del Novecento; e la forza dell’immagine è tale da farla utilizzare come simbolo della classe dei lavoratori ancora ai nostri giorni.

(fonte: Storia dell'Arte Einaudi)

 


 

Giuseppe Pellizza alias Pellizza da Volpedo, fotoFiglio di agiati possidenti, aggiunse al cognome la denominazione del paese natale, dove risiedette tutta la vita. La sua formazione artistica fu varia e precoce: a quindici anni, compiuti gli studi tecnici, era già iscritto a Milano all'Accademia di Brera, di cui frequentò i corsi per tre anni, dal 1884 al 1887, studiando pittura con P. Sanquirico. Nei primi mesi dell'87 fu a Firenze per un breve soggiorno, durante il quale fece la conoscenza di P. Nomellini, allora alle prime prove nello stile macchiaiolo, ma che, convertitosi in seguito al divisionismo, sarà fra quelli che lo orienteranno verso la nuova tecnica pittorica; nell'ambiente macchiaiolo Pellizza conobbe probabilmente anche un certo A. Muller, pittore mediocre, vissuto a Parigi: uno dei pochi italiani del suo tempo ad aver assimilato la lezione dell'impressionismo, Muller affascinava la nuova generazione, la quale, col cercar di imitare i dipinti da lui ammirati in Francia e appassionatamente descritti, così scatenava le ire del vecchio G. Fattori: « ... la storia vi registrerà come servi umilissimi di Pissarro, Manet ecc... e in ultimo del signor Muller ». Tuttavia, è forse a questo pittore che Pellizza dovette l'aver visto più di quanto normalmente vedessero i suoi compatrioti nella sua visita al Salon parigino del 1889. Durante l'anno 1888-89 Pellizza lavorò all'Accademia di Brera. Fino al 1897 lo stile di Pellizza rispecchiò l'influenza combinata di C. Tallone e dell'estetica macchiaiola; nella sua produzione prevalgono i ritratti e le nature morte, resi in una sintesi formale che rivela uno spiccato senso del disegno e dei valori plastici. L'avvicinamento di Pellizza al divisionismo fu dovuto principalmente all'influenza di A. Morbelli, uno dei primi a Milano ad adoperare la nuova tecnica, e rappresentò un cambiamento drastico rispetto al suo precedente indirizzo stilistico. Pellizza conobbe Morbelli nel 1894 (la loro corrispondenza è documento assai rivelatore su questo periodo dell'arte e della cultura italiana); e se già due anni prima il quadro Mammine (Leningrado, Hermitage), presentato alla Colombiana di Genova, aveva dimostrato il suo interesse per le ricerche cromo-luministiche, è solamente con La processione (1894-95, Milano, Mus. Naz. della Scienza e della Tecnica), Speranze deluse (1894, Roma, coll. privata) e L'annegato (1894, Alessandria, Pinacoteca Civica), eseguiti dopo l'incontro con Morbelli, che si può parlare di un divisionismo rigoroso, un divisionismo che non ha equivalente nella scuola italiana, perché inteso come « puntinismo » minuto che decompone il colore nei suoi elementi prismatici e produce un'intensità luminosa irraggiungibile col miscuglio chimico. Nello stesso momento i soggetti dei quadri di Pellizza si caricano di allusioni sociali, nelle quali si riflettono le sue letture politiche e il suo profondo senso umanitario. Il suo interesse per il pensiero socialista è, come per G. Pascoli, l'espressione di un temperamento sensibilissimo che soffre le sofferenze degli umili e sogna un mondo migliore. Esso culminò nel monumentale Quarto Stato (Milano, Palazzo Marino) al quale il Pellizza lavorò, con una serie di bozzetti e disegni, dal 1896 al 1901. Sotto l'influenza di un gruppo di letterati fiorentini della cerchia della rivista « Il Marzocco », per la quale egli stesso scrisse articoli sul divisionismo, la sua ispirazione si fece decisamente allegorica e i temi simbolisti, dopo il '96, prevalsero su quelli sociali. Parallelamente, Pellizza si dedicò a un'interpretazione lirica del paesaggio con opere di fattura libera e di derivazione fontanesiana che si alternano a opere rigorosamente divisioniste, come il famoso Panni al sole (Milano, coll. priv.) del 1905. La morte improvvisa della moglie, nel 1907, provocò una crisi insuperabile per l'artista che, da sempre tormentato dall'angoscia della mediocrità, doveva morire suicida il 14 giugno dello stesso anno.

(fonte: Annie-Paule Quinsac in Eniclopedia Europea Garzanti)

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Autoritratto giovanile, 1888
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Autoritratto giovanile, 1888