Paesaggio (presso il prato Pissone)

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Paesaggio (presso il prato Pissone) | Landscape (by the Pissone meadow)
Autore: 
Pellizza, Giuseppe alias Pellizza da Volpedo (1868-1907)
Titolo: 
Paesaggio (presso il prato Pissone)
Altri titoli: 
Landscape (by the Pissone meadow)
Via campestre a Volpedo
Paesaggio
Paesaggio presso il prato di Pissone
Paesaggio presso i prati del Pissone
Periodo: 
XX secolo
Datazione: 
non datato (1904)
Classificazione: 
Dipinto
Tecnica e materiali: 
Olio su tela
Dimensioni (altezza x larghezza in centimetri): 
63,5 x 63,5
Annotazioni: 
Firma in basso a sinistra: Pellizza
Luogo di conservazione: 
Collezione privata

Note:

Sul verso della cornice reca le etichette delle mostre di Torino (1939), Alessandria (1940 e 1954), Trento (1990) e un’etichetta con la scritta a mano: “n. 69B Pellizza da Volpedo Paesaggio presso il prato di Pissone”; sul verso del telaio reca le etichette delle mostre di Milano (1970),St. Moritz (1989), un’etichetta parzialmente illeggibile della Galleria Scopinich e il numero “16” a gessetto blu; sul verso della tela reca un timbro della Galleria Pesaro di Milano, apposto in occasione della mostra pellizziana del 1920, con la firma autografa di Gianni Felice Abbiati.

Provenienza:

  • Collezione Bertollo.
  • Galleria Scopinich, Milano, nel 1927.
  • Collezione Gino Bassi, Milano, dal 1928.
  • Collezione Maria Bassi Lizza, Varese.

Mostre:

  • Esposizione di Primavera, Milano (?), Società per le Belle Arti, Esposizione Permanente, Sala D, 1905, n. 222.
  • Mostra individuale di G. Pellizza da Volpedo, Milano, Galleria Pesaro, 1920, n. 10.
  • Mostra commemorativa di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Torino, Salone de “La Stampa”, 1939, s.n.
  • Mostra degli artisti alessandrini dell’Ottocento, Alessandria, Pinacoteca Civica, Sala Terza, 1940, n. 62.
  • Mostra del pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo 1868-1907, Alessandria, Pinacoteca Civica, Sala Seconda, 1954, n. 43.
  • Mostra del Divisionismo italiano, Milano, Palazzo della Permanente, 1970, n. 59.
  • Da Bagetti a Reycend. Capolavori d’arte e pittura dell’Ottocento piemontese in collezioni private italiane, Torino, Palazzina della Società Promotrice delle Belle Arti, 1986, n. 138.
  • Il Divisionismo italiano della Galleria Grubicy. Protagonisti e partecipi della prima generazione, Como - St. Moritz, Galleria d’Arte Cavour - Museo Segantini, 1989, s.n.
  • Divisionismo italiano, Trento, Palazzo delle Albere, 1990, n. 42.
  • Giuseppe Pellizza da Volpedo, Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 1999-2000, n. 75.
  • Il paesaggio di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Milano, Galleria d'Arte Ambrosiana, 2 maggio - 15 giugno 2013​.

Bibliografia:

  • Catalogo Esposizione di Primavera, catalogo della mostra, [Milano, Società per le Belle Arti Esposizione Permanente], 1905, p. 34 (con il titolo Via campestre a Volpedo).
  • G. Pellizza da Volpedo, catalogo della mostra, [Milano, Galleria Pesaro], Alfieri & Lacroix, Milano, 1920, p. 13.
  • R. Calzini, in Pittura moderna italiana, catalogo della vendita all’asta, [Milano, Galleria Scopinich], A. Rizzoli & C., Milano, 1927, p. 12.
  • Pittura moderna italiana, catalogo della vendita all’asta, [Milano, Galleria Scopinich], A. Rizzoli & C., Milano, 1927, n. 25, p. 26, tav. XLIV (con il titolo Paesaggio presso il Prato di Pissone).
  • P. Torriano, La Raccolta eredi Bertollo, in Raccolta eredi Bertollo, catalogo della vendita all’asta, [Milano, Galleria Scopinich S.A.], Stabilimento di Arti Grafiche A. Rizzoli & C., Milano, 1928, p. 8.
  • Raccolta eredi Bertollo, catalogo della vendita all’asta, [Milano, Galleria Scopinich S.A.], Stabilimento di Arti Grafiche A. Rizzoli & C., Milano, 1928, n. 51, p. 19 (con il titolo Paesaggio).
  • P.L. Occhini, La natura, sua ispiratrice, in “Alexandria”, Anno V, n. 7, luglio 1937, Alessandria, p. 189 illustrato (con il titolo Paesaggio).
  • M. Bernardi - R. Scaglia, Giuseppe Pellizza da Volpedo, catalogo della mostra, [Torino, Salone de “La Stampa”], Tipografia de “La Stampa”, Torino, 1939, s.p., tav. f.t. (con il titolo Paesaggio).
  • L’opera di Giuseppe Pellizza da Volpedo nel giudizio della critica, in “Alexandria”, Anno VII, n. 3, marzo 1939, Alessandria, pp. 82 illustrato, 91 (con il titolo Paesaggio).
  • Almanacco Artistico Italiano, Alfieri e Lacroix, Milano, ottobre 1940, illustrato (con il titolo Paesaggio).
  • A. Mensi - R. Scaglia, Mostra degli artisti alessandrini dell’Ottocento, catalogo della mostra, [Alessandria, Pinacoteca Civica], 1940, pp. XLV, 10 (con il titolo Paesaggio).
  • R. De Grada, Pellizza da Volpedo, in “Ferrania. Rivista mensile di fotografia, cinematografia e arti figurative”, novembre 1947, p. 31 illustrato.
  • A. Dragone - J. Dragone Conti, I paesisti piemontesi dell’Ottocento, Istituto Grafico Bertieri, Milano, 1947, pp. 168-169 illustrato (con il titolo Paesaggio e con le misure 65 x 65 cm).
  • A. Mensi, Giuseppe Pellizza da Volpedo, catalogo della mostra, [Alessandria, Pinacoteca Civica], Tipografia Ferrari, Occella e C., Alessandria, 1954, p. 36, tav. f.t. (con il titolo Paesaggio).
  • T. Fiori, Archivi del Divisionismo, Volume secondo, Officina Edizioni, Roma, 1968, n. V.213, p. 100, tav. 1338 (con i titoli Paesaggio presso il prato di Pissone o Paesaggio e con le misure 53 x 64 cm).
  • A. Scotti (scheda in), Mostra del Divisionismo italiano, catalogo della mostra, a cura di A. Rossi, [Milano, Palazzo della Permanente], Arti Grafiche E. Gualdoni, Milano, 1970, p. 98, tav. f.t. (con i titoli Paesaggio presso il prato di Pissone o Paesaggio).
  • A. Scotti, Avanti, o popolo. Il quadro scelto da Bertolucci per il manifesto di Novecento, in “Bolaffiarte”, Anno 7, n. 64, novembre 1976, Milano, p. 192, fig. 86.
  • P. Dragone (scheda in), Da Bagetti a Reycend. Capolavori d’arte e pittura dell’Ottocento piemontese in collezioni private italiane, catalogo della mostra, a cura di A. Dragone, [Torino, Palazzina della Società Promotrice delle Belle Arti], Stamperia Artistica Nazionale, Torino, 1986, p. 221 illustrato (con il titolo Paesaggio e con le misure 65 x 65 cm).
  • A. Scotti, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Electa, Milano, 1986, n. 1180, pp. 39 (con il titolo Paesaggio presso il prato del Pissone), 441 illustrato - 442.
  • D. Lardelli - V. Capuano, Il Divisionismo italiano della Galleria Grubicy. Protagonisti e partecipi della prima generazione, catalogo della mostra, [Como - St. Moritz, Galleria d’Arte Cavour - Museo Segantini], Cattaneo Paolo Grafiche s.r.l., Oggiono, 1989, pp. 90-91 illustrato (con il titolo Paesaggio presso il prato di Pissone).
  • A. Scotti, Giuseppe Pellizza: luce, pittura, divisionismo. Olivero, Barabino, in Divisionismo italiano, catalogo della mostra, a cura di AA.VV., [Trento, Palazzo delle Albere], Electa, Milano, 1990, p. 118 (con il titolo Paesaggio presso il prato del Pissone).
  • A. Scotti (scheda in), Divisionismo italiano, catalogo della mostra, a cura di AA.VV., [Trento, Palazzo delle Albere], Electa, Milano, 1990, pp. 148-149 illustrato.
  • A.M. Damigella, Art e Dossier - Pellizza da Volpedo, n. 151, Giunti, Firenze, 1999, pp. 45-46 illustrato.
  • L. Giachero (scheda in), Pellizza da Volpedo, catalogo della mostra, a cura di A. Scotti Tosini, [Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea], Hopefulmonster, Torino, 1999, p. 156.
  • A. Scotti Tosini, I molti aspetti dell’armonia: itinerari nella pittura di Giuseppe Pellizza, in Pellizza da Volpedo, catalogo della mostra, a cura di A. Scotti Tosini, [Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea], Hopefulmonster, Torino, 1999, p. 30.
  • A. Scotti Tosini, Pellizza da Volpedo, catalogo della mostra, [Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea], Hopefulmonster, Torino, 1999, p. 122 illustrato.
  • A. Anétra - A. Scotti, Pellizza e la fotografia, il fondo fotografico, Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Edo Edizioni Oltrepò, Voghera, 2007, p. 126 illustrato (con il titolo Paesaggio presso i prati del Pissone).
  • A. Scotti Tosini, in Pellizza e la fotografia, il fondo fotografico, a cura di A. Anétra - A. Scotti, Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Edo Edizioni Oltrepò, Voghera, 2007, p. 16 (con il titolo Paesaggio presso il prato del Pissone).
  • M. Vinardi (scheda in), Pellizza e la fotografia, il fondo fotografico, a cura di A. Anétra - A. Scotti, Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Edo Edizioni Oltrepò, Voghera, 2007, p. 177 (con il titolo Paesaggio presso i prati del Pissone).

Divisionismo e natura: la vitalità della luce

“Io sento il bisogno di avere ogni giorno davanti a me qualche tela a cui lavorare la quale mi ritragga qualcuna delle grandi armonie pittoriche e ideali della natura”.

Giuseppe Pellizza, agosto 1903

Nella pittura di Pellizza il paesaggio ha un’importanza costante, anche se cambiano, nel corso degli anni, il suo ruolo e il suo significato. La critica del primo novecento (da Vittore Grubicy ad Ugo Ojetti, per continuare con Arturo Mensi, con Marziano Bernardi e col più accurato Angelo Dragone) proprio facendo perno su paesaggi in controluce della campagna volpedese risalenti ai primi anni del Novecento, li contrappose alla produzione precedente, esaltandone la vena melanconica e intimista. Questa veniva interpretata come una felice conquista del pittore, imputandone lo sviluppo soprattutto all’insuccesso del Quarto Stato alla Quadriennale di Torino del 1902 (dove l’opera non ebbe il riconoscimento di un premio o di un acquisto pubblico) che avrebbe convinto il pittore a ripiegare sullo studio della natura. L’interpretazione non fu scalfita neppure dalle prime rivendicazioni di un ruolo rilevante del paesaggio all’interno delle sue esperienze divisioniste, compiute da Enrico Somarè e da Marco Valsecchi, e che si concentrarono soprattutto sull’eccezionale qualità di un’opera come Panni al sole, che si ritenne di porre ad una data “1905”, collegandola alle riprese neoimpressioniste internazionali di primo novecento, senza porsi il problema di una discrepanza fondamentale fra le ricerche presenti in quella tela – eccezionale ma da datarsi ad un decennio prima – e le sperimentazioni riassunte in Il sole compiuto effettivamente nel 1905.

In ogni caso l’interpretazione di Pellizza come paesaggista umbratile, se pur poteva avere fondamento in alcune affermazioni stesse del pittore o in indubbie circostanze esistenziali, non rispecchiava la complessità delle ricerche che Pellizza compì costantemente sulla natura e sul paesaggio, prendendo spunto in particolare dai dintorni della sua casa a Volpedo, ma senza escludere esperienze più ampie, soprattutto nel periodo tra 1904 e 1906, caratterizzate dalle uscite sul Penice, dai viaggi in Engadina sui luoghi segantiniani o dal soggiorno a Roma, che si rivelavano sempre capaci di sostanziare di nuovi elementi, sia dal punto di vista del cromatismo che da quello della composizione, le sue ricerche che si andavano indirizzando sui  complessi legami fra spazio e tempo, scandagliati attraverso le mutazioni riscontrabili nella natura.

A distanza di un secolo dalla morte di Pellizza, con alle spalle l’estendersi delle ricerche e delle esposizioni sul divisionismo – che hanno ampliato notevolmente la conoscenza del pittore ed hanno confermato il ruolo primario da lui assunto nell’ambito della pittura a cavallo fra Otto e Novecento –, i suoi paesaggi non risultano sempre facili da decifrare anche se la loro interpretazione, da una lettura come estremo sviluppo di un naturalismo di matrice ottocentesca, sia pure rivisitato nelle componenti cromatiche grazie ad un perfezionarsi della tecnica divisionista che riesce a rendere trasparenti i controluce e le penombre, si è andata indirizzando verso una interpretazione di paesaggio “stato d’animo”.

La sequenza di controluce che comprende, accanto a Paesaggio presso il prato del Pissone, Il roveto, Sera d’autunno, Mattino di Maggio ed anche Il sole, suggerisce di riconsiderare l’importanza di queste opere all’interno del rapporto con la natura intessuto dal pittore lungo tutto l’arco della sua vita.

Pellizza aveva dipinto fin da giovane dei paesaggi puri di grande qualità, lontani dal sommario naturalismo diffuso negli anni ottanta del secolo XIX: penso alle straordinarie realizzazioni di Piazza a Volpedo (1888) con la sua limpida sintesi cromatica e geometrica delle forme, a Valletta verde (1891) dalla felicemente riassuntiva ed immediata resa del declivio verde; contestualmente, l’ambiente e i paesaggi di Volpedo diventavano tra 1891 e 1894 la “scena”, il luogo privilegiato in cui sviluppare soggetti quotidiani, fissandoli in una composizione che li rendeva più espliciti e significanti (da Mammine a Speranze deluse a Sul fienile).

Tra 1892 e 1902, con pochissime eccezioni quale ad esempio L’albero abbattuto del 1900, la natura ha in genere accompagnato proprio la scelta di soggetti significanti, legati cioè alla necessità di evidenziare contenuti simbolici universali attraverso temi legati all’amore, al lavoro, alla vita e alla morte, in tele che Pellizza progettò anche di organizzare in serie sequenziali, schizzandone la possibile composizione nei suoi appunti. In questi esempi il paesaggio e il soggetto figurativo erano collegati in un quadro compositivo che si basava sul riconoscimento di forme geometriche capaci di consolidare l’impostazione della struttura generale, mentre le particolari soluzioni luminose enfatizzavano le componenti emozionali, intellettuali o psicologiche implicite nella scelta stessa del soggetto. Basterebbe ricordare lavori come Processione, Idillio primaverile, ma, soprattutto, Lo specchio della vita (1895-98) in cui, eliminando la figura umana presente nei primi studi, Pellizza sviluppò una simbolica riflessione sulla vita, incarnata nell’inevitabile ritmico ed ondulato avanzare di una fila di pecore sull’argine del Curone, rendendo più complessa la sequenza portando in primo piano il riflesso nell’acqua delle pecore stesse, e accentuando la concavità dello sfondo, con l’ampia campagna delimitata da morbide ed ondulate colline, il cui moto si ribalta nelle nuvole bianche nel cielo. L’allusione alla ciclicità della vita si accompagnava così al senso di infinito sostanziato dalla tersità della luce, facendo assumere alla natura dimensione ad un tempo lirica e universale.

Era l’altra faccia di un complesso processo che, iniziato proprio nel 1898, portava da Fiumana a Il Quarto Stato, in cui la schiera di persone non si stagliava più sull’infinito ma aveva l’infinità dello spazio davanti a sé.

Il ritorno al paesaggio puro nei primi anni del Novecento, lungi dal configurarsi come un ripiegamento o dal prendere le distanze da quanto eseguito contemporaneamente o in precedenza, sembra ripartire proprio dalle scelte compiute in Il Quarto stato tra 1900 e 1901. Qui Pellizza mascherò lo sfondo di una veduta-paesaggio volpedese rimasto come costante nelle varie versioni dell’opera – da Ambasciatori della fame al primo abbozzo dell’opera finale che ancora s’intitolava Il cammino dei lavoratori –, con una cortina di verde che, a contrasto col cielo oscuro alle sue spalle, sembrava condensare nella natura la storia, la storia precedente della schiera dei lavoratori, ma anche in senso lato la storia dell’umanità. Era una natura che – al pari della schiera che non era statica ma intessuta da movimenti ondulatori che suggerivano un moto avanzante – non era né inerte né priva di vita, ma era viva e vibrante nel divisionismo sapiente con verdi di varia natura filettati di gialli, di rossi e di azzurri nelle più varie tonalità che preannunciavano e potenziavano la piena luce rosata del primo piano.

Paesaggio presso il prato del Pissone si inserisce in questo percorso che punta sulla natura senza presenza dell’uomo per ribadire comunque l’importanza e il valore che essa assume nella percezione del pittore, che la trasmette sulla tela, rivisitata in una dilatazione psicologica che si sostanzia nel continuo rimando a ritmi diagonali costruiti su un primo piano in penombra e sulla concavità del fondo in una vibrante luce mattinale. Era la ricerca di “armonie pittoriche della natura (…) rendendole comunicative all’occhio e alla mente dell’uomo” (Volpedo, Copialettere e minutari del 1906, f. 5v). Soggetto dell’opera, come ben chiarisce nel suo scritto Pierluigi Pernigotti, è un brano di campagna volpedese segnato dal bordo di una roggia, da un sentiero, da alberi, da un prato e da uno sfondo di cielo. La qualità della stesura del colore, in tacche, macchie, filetti, campiture di bianco increspato per sottolineare leggeri movimenti luminosi, strisciate di colore che coprono solo la parte più rilevata dell’ordito della tela con effetti di puntinato, obbligano l’osservatore ad una visione dinamica sostanziata dalla mobilità della luce.

Il fatto che, dopo l’uscita dallo studio di Volpedo a fine 1919 per la mostra postuma di Pellizza alla Galleria Pesaro, il quadro abbia avuto solo due passaggi di proprietà, rimanendo per moltissimi anni in un’unica collezione e in condizioni di conservazione ottimali, senza subire restauri con rintelatura e rifacimenti, ha consentito di restituirgli, con una delicata e minimale pulitura, lo splendore originario con le infinite vibrazioni, le trasparenze e le raffinatezze tecniche che il pittore usava in queste sue rivisitazioni della natura. Ci ritroviamo con un raffinatissimo paesaggio da cui è esclusa qualsiasi durezza o legnosità: i tronchi d’albero appaiono permeabili alla penombra, i rami si dispiegano, in dialettica con un arioso fogliame, con sviluppo sottile e filiforme quasi memore di soluzioni quattrocentesche (da Perugino al giovane Raffaello a Leonardo stesso) contro un cielo costruito accompagnando al bianco di zinco di fondo delicate variazioni di azzurri, di rosa, di aranciati e di violetti, senza rinunciare a quei tocchi giallastri di lacca, necessari a renderlo più trasparente e vibrante (colpi radi e trasparenti che restauri poco attenti non avrebbero mancato di cancellare). Anche in questo brano di realtà la composizione è estremamente raffinata perché accompagna all’andamento della strada campestre che suggerisce un moto orizzontale rimarcato dagli alberi, una tensione di movimento che si sviluppa in senso opposto sottolineato proprio dal tendersi dei sottilissimi rami e dalla costruzione cromatica delle pennellate del cielo. La vaporosità e il dinamismo delle fronde e le complesse cromie del fogliame sono un filtro e segnano una mediazione tra l’intensità e la corposità dei colori puri, densi e usati per modellare il prato alle spalle della strada in primo piano, e le trasparenze e la complessità delle sfumature di colori complementari usati nel cielo. Nella stesura del verde le tacche si accompagnano a tracciati di filamenti diagonali, scanditi anche da solchi definiti col retro del pennello accentuando il senso di mobilità.

Non possiamo dimenticare che agli inizi del Novecento Pellizza era deciso a superare la visibilità del divisionismo per una resa pittorica capace di salvaguardare la fondamentale esperienza della luce, componente dinamica della natura e fondamento della nostra percezione, trasformandola in una specie di energia pulsante che accomunava tutto l’universo. Quello che avveniva nella natura si fondeva con le tensioni psicologiche su cui insisteva parte della letteratura del primo Novecento, mentre anche la poesia si preparava a individuare in un semplice frammento verbale una dimensione di assoluto che andava oltre la “correspondence” di matrice ottocentesca e superava anche, in questa percezione, l’ingenuità del fanciullino pascoliano.

Le assonanze con i percorsi poetici sperimentati da Pellizza nei rapporti con gli amici incontrati sui banchi fiorentini dell’Istituto di studi superiori nel 1894, e con Domenico Tumiati soprattutto che lo avevano portato a meditare sui preraffaelliti, si trasformavano ora, in assonanza ma senza contiguità specifiche, in una volontà di confronto critico con una tradizione pittorica che partiva e si incardinava sulla lezione di Fontanesi. Pellizza acquistò nel giugno del 1901 la monografia A. Fontanesi, pittore paesista scritta da Marco Calderini, fresca di stampa e ricca di testimonianze, la lesse con attenzione e risalì, attraverso Fontanesi a Corot, ai barbizonniers, ai paesaggisti lionesi, fino agli inglesi Gainsborough, Constable e Turner: di questo parlò con l’amico Giovanni Cena che proprio a Fontanesi aveva dedicato un saggio sulla “Nuova Antologia” del 1 dicembre 1901. Nell’articolo Cena rilevava che “solo lo studio concomitante del cielo e del suolo, l’esecuzione dei piani di terreno corrispondenti ai piani successivi del cielo più o meno segnati da nuvole o affatto sgombri, ma pur graduati, possono rendere la sensazione dello spazio, far che il quadro risulti cavo, e che si entri quasi materialmente”. Pellizza, che apprezzava gli equilibri fra luci ed ombre all’interno delle opere fontanesiane e ne studiava le trasparenze, cercò di andare oltre, traducendo la concavità in un movimento continuo e non univoco, riportando costantemente lo sfondo verso l’osservatore in una tensione continuamente rinnovatasi.

Proprio in questa percezione della natura si stabilisce una nuova profonda differenza fra le opere pellizziane e quelle degli altri divisionisti: Nomellini ritrovava allora nella natura, soprattutto quella della Versilia, una forza primigenia che parlava di miti e drammi antichi; Morbelli ricercava nella natura la felice visione paesaggistica e solare che ribadiva, usando anche colori ad ampie stesure e non divisi, la tersità e la pienezza della visione en plein air; Previati trasformava i soggiorni sulla riviera ligure in sontuosi arazzi con decorativi alberi (dal giallo all’ocra al marrone) su fondi piatti dal blu al violaceo; Grubicy rimaneva legato a vagheggiamenti che coltivavano le sue sottili emozioni in “petites sensations”, mentre Longoni ricercava nella natura una dimensione visionaria nei grandi ghiacciai prima ancora che nei suoi notturni stellati. Pellizza, scavando nella propria psiche, con una propensione documentata anche dalla sua amicizia con lo psichiatra Giuseppe Antonini che operava a Voghera, era consapevole delle profondità dell’inconscio che si ribaltava nel dinamismo delle continue trasformazioni e vibrazioni che la luce operava nella natura rendendola pulsante, e quindi riconnettendo il proprio sentire in una dimensione universale e cosmica. In questa direzione andavano anche opere come Alberi e nubi sul Curone, La montà di Bogino ma anche alcune delle opere che, iniziate molti anni prima, riuscirono a trovare compimento nell’attività finale del pittore, come la straordinaria tela di Emigranti.

Aurora Scotti Tosini

(saggio in Il paesaggio di Pellizza da Volpedo. Indagini e storia di un capolavoro a cura di Francesco Luigi Maspes, catalogo della mostra citata sopra.)