Manet, Édouard
Édouard Manet, nato in una famiglia della buona borghesia parigina, per potersi consacrare alla pittura deve vincere l'opposizione del padre magistrato. Entra nel 1850 nello studio dell'accademico Th. Couture, che lascerà, nonostante i numerosi contrasti, soltanto sei anni più tardi, per dedicarsi alla propria educazione artistica copiando i « maestri » al Louvre (Giorgione, Tiziano, gli olandesi, Goya e soprattutto Velàzquez) e compiendo viaggi di studio in Italia, poi in Germania, in Austria, in Olanda (visiterà la Spagna solo nel 1865, alla fine del suo « periodo spagnolo »). Il Cantante spagnolo (1860, New York, Metropolitan Museum of Art), esposto al Salon del 1861, gli vale una menzione onorevole e un articolo entusiasta di Th. Gautier; Baudelaire, con il quale ha stretto amicizia, rinnova questo elogio nel 1862, a proposito del suo contributo al rinnovamento dell'acquaforte in Francia. Ma a partire da quegli anni le sue tele (tra cui Musica alle Tuileries, 1860, Londra, National Gallery), esposte alla Galleria Martinet, suscitano scandalo; mentre al Salon des refusés del 1863, dove espone Il bagno, chiamato più tardi Le déjeuner sur l'herbe (Parigi, Musée d'Orsay), la sua audacia iconografica (il nudo femminile tra personaggi maschili completamente vestiti) e stilistica (l'ambigua rappresentazione dello spazio, la pennellata larga e rapida, la tinta piatta e la violenza dei contrasti tonali) diventa il bersaglio di attacchi, sarcasmi e caricature. Lo scandalo si dilata quando, per insistenza di Baudelaire, egli espone al Salon del 1865 l'Olympia (Parigi, Musée d'Orsay), che viene accolta come una vera e propria provocazione. Ciononostante le sue opere suscitano l'ammirazione dei giovani pittori: coloro che formeranno il nucleo degli impressionisti si riuniscono ora nel suo studio e al Café Guerbois, facendone luoghi di intensi e fecondi scambi intellettuali; nel 1870 H. de Fantin Latour li rappresenterà simbolicamente riuniti attorno a Manet intento a dipingere (Atelier à Batignolles, Parigi, Musé d'Orsay). E. Zola prende vigorosamente, in tre articoli, la difesa di Manet, il quale, ancora rifiutato al Salon del 1866 organizza una personale nel suo studio. Escluso anche dall'Esposizione universale del 1867, si risolve a seguire l'esempio di Courbet, esponendo le sue tele (circa 50 quadri, frutto di 8 anni di lavoro) in un capannone al pont de l'Alma.
Dopo la guerra e l'assedio di Parigi, alla cui difesa partecipa come repubblicano convinto, la situazione sembra migliorare: P. Durand Ruel, che lo scopre allora, acquista numerose sue opere, mentre il Bon bock (Filadelfia, Musuem of Art), ritratto alla maniera di F. Hals esposto al Salon del 1873, ottiene i favori del pubblico e della critica. Ma ai Salons del '74 e del '75 Alla ferrovia (Washington, National Gallery) e Argenteuil (Tournai, Musée des Beaux Arts) sono violentemente criticati, e a quello del 1876 non viene ammessa nessuna delle sue tele. Questi anni vedono Manet più vicino agli impressionisti sia sul piano della tecnica, sia per la scelta dei soggetti, che ora trae dal vero all'aperto, fuori Parigi (Monet che dipinge nel suo bateau-atelier, 1874, Monaco, Staats gemaldesammlungen). Tuttavia, per timore di compromettersi, egli non partecipa nè alla prima esposizione del gruppo, nel 1874, né alle successive: spera sempre di sfondare al Salon, che giudica « il vero terreno di lotta ». Dipinge soggetti « naturalistici » (Nana, 1877, Amburgo, Kunsthalle), e scrive, senza ricevere risposta, al consiglio municipale di Parigi proponendo un progetto per la decorazione del nuovo Hôtel de Ville, consistente in un ciclo di composizioni sul tema Le ventre de Paris. Nonostante le resistenze non siano scomparse, ottiene, nel 1881, una medaglia al Salon, e, grazie al suo amico A. Proust diventato ministro, la Legion d'onore. Dipinge Il bar delle Folies Bergères (1881, Londra, Tate Gallery), una delle sue tele più importanti, e in seguito, costretto, per motivi di salute, a lasciare Parigi per la campagna, alcune vedute di giardini, fiori, nature morte e numerosi ritratti a pastello. Nel 1884, un anno dopo la sua morte, è allestita all'Ecole des Beaux-Arts una retrospettiva delle sue opere che, in occasione di una vendita organizzata all'Hotel Druot, raggiungono prezzi elevati; ciononostante l'Olympia, che grazie a una sottoscrizione promossa da Monet era stata offerta al Louvre nel 1890, non vi entrerà che dopo aver sostato 17 anni al Museo del Lussemburgo.
Si è soliti riconoscere nella pittura di Manet gli inizi dell'arte moderna. Ciò è tuttavia riconducibile, almeno in parte, ai ripetuti scandali suscitati con le sue opere: nonostante le continue battaglie da lui condotte contro la giuria del Salon, i critici e il pubblico, che favorirono l'aggregarsi attorno alla sua figura di artisti che avevano rotto con l'arte ufficiale, Manet resta « un rivoluzionario suo malgrado », che ambisce al successo mondano e accademico e rende omaggio, malgrado l'indipendenza finanziaria, a molti pregiudizi borghesi.
« È solo effetto della sincerità ciò che conferisce alle opere un carattere che può sembrare di protesta: in realtà, il pittore non si è curato che di esprimere a sua impressione », dichiara l'introduzione alla sua esposizione del 1867. Manet, infatti, abbandona le convenzioni accademiche per restare fedele a quel temperamento e a quell'autenticità che Baudelaire, e altri prima di lui, avevano rivendicato. Proust, nei suoi Ricordi, fa dire a Manet in risposta a una critica mossagli da Couture: « Io dipingo quello che vedo, e non quello che gli altri amano vedere. » Disgustato dai ragoûts e dai jus, Manet rinuncia alle preparazioni scure di cui un Courbet ricopre ancora la sua tela, e prepara la via alla pittura chiara degli impressionisti. Elimina anche i mezzi toni del modellato accademico, a vantaggio dei contrasti violenti ottenuti passando bruscamente dai toni più chiari a quelli più scuri. Per restare fedele alla sua « impressione », dipinge con grande rapidità; Mallarmé ricorda uno dei suoi detti preferiti: « L'occhio, una mano... », e ancora Proust riferisce questo proponimento: « Eseguire di getto quel che si vede. Quando questo c'è, c'è. Quando non c'è, si ricomincia. Tutto il resto sono storie. » Di qui le interminabili pose cui sottopone ì suoi modelli, e la sua disperazione quando essi rinunciano: queste tele, dalla esecuzione così libera e in apparenza così spontanea, sono in realtà l'approdo di numerosi stadi successivi.
Pur aprendo con la sua audacia la strada agli impressionisti, Manet non può essere loro assimilato, né è possibile vedere in lui soltanto un anello di congiunzione, per quanto indispensabile, tra Courbet e gli impressionisti: la sua carriera si svolge parallela alla loro, ma del tutto indipendente. Nelle sue opere la figura tende a mantenere la preminenza sul paesaggio; non ricorre quasi mai alla pennellata divisa e non rinuncia né al tono locale, né ai chiaroscuri, né alle tinte piatte. Inoltre la lezione che molto presto egli trae dalle stampe giapponesi, e traduce nella semplificazione delle forme e nell'appiattimento di spazio e figure sovente contornate, sarà pienamente compresa soltanto dopo l'impressionismo, da Gauguin e dai sintetisti.
La rivoluzione operata da Manet sarebbe quella della « pittura pura ». Zola per primo, nel 1866-67, definendo Manet « pittore analista », il cui sforzo, simile a quello dello scrittore, consiste nella « osservazione puntuale dei fatti », scrive che per lui « il soggetto è un pretesto per dipingere »: « La donna nuda del Déjeuner sur l'herbe è presente solo per dare all'artista l'occasione di dipingere un po' di carne. » Tuttavia la tradizione svolge un ruolo curiosamente importante nel modo in cui Manet si avvicina alla natura. Egli non si accontenta di scegliere i suoi maestri: spagnoli (Goya e Velàzquez, « il pittore dei pittori »), veneziani e soprattutto olandesi, ma trae da loro innumerevoli spunti; così il Déjeuner deriva da un'incisione di Marcantonio Raimondi da Raffaello, e l'Olympia dalla Venere di Urbino di Tiziano. Il significato ambiguo dei riferimenti ha spesso imbarazzato la critica, che ha tacciato Manet, oltre che di una zoliana indifferenza al soggetto, di una sorprendente mancanza di immaginazione. Tuttavia, di recente, mentre pur prosegue la ricerca delle fonti di Manet, si tende a rivalutare l'importanza del soggetto nella sua opera. Secondo G. Mauner, che in Manet, pittore filosofo (1975) collega i due aspetti in modo nuovo, Manet, pur sostenendo la necessità di « essere del proprio tempo e fare quello che si vede » e di « prendere dalla nostra epoca quello che essa ci offre », si sarebbe sforzato, come proponeva Baudelaire nel suo Pittore della vita moderna, di « liberare dalla moda quello che essa può contenere di poetico nello storico, di estrarre l'eterno dal transitorio ». Manet avrebbe cioè « descritto scene della vita moderna cogliendone il preesistente significato essenziale »; e si sarebbe proposto di inserire il suo tema, il cui simbolismo molto baudelairianamente si appunta sulla duplice natura dell'uomo e del mondo, entro una struttura compositiva, spesso rimasta enigmatica, e di fare riferimento a fonti specifiche e riconoscibili. La difficoltà di una siffatta lettura e lo scandalo provocato dalle sue opere ne avrebbero impedito una serena e corretta comprensione. Al di là dell'immensa importanza storica che certo le va riconosciuta, l'opera di Manet è stata, ed è tuttora, assai fertile d'ambiguità e fonte di malintesi. Ma se la visione formalistica di un Manet attento esclusivamente ai valori pittorici continua a dominare su manuali e monografie, ciò è anche dovuto alla mancanza di un'interpretazione coerente che renda conto dell'insieme della sua opera.
(autore: Dario Gamboni in Enciclopedia Europea Garzanti)
Di origine alto borghese – il padre era un importante funzionario del Ministero della Giustizia – Manet segue gli studi classici presso il Collège Rollin; qui stringe amicizia con Antonin Proust, cui dobbiamo preziose indicazioni per la conoscenza dell’artista (Souvenirs). Precocemente rivela attitudine al disegno, dote che viene incoraggiata dallo zio, il colonnello Fournier, che lo conduce di frequente al Louvre, dove, sino alla rivoluzione del 1848, si potevano ammirare le tele di Goya, Greco e Velázquez che componevano il museo spagnolo di Luigi Filippo. Deludendo le aspettative del padre, che desiderava avviarlo alla magistratura e osteggiava gli studi artistici, Manet opta per l’Ecole Navale, presso cui si iscrive nel 1848. Respinto all’esame di ammissione, si imbarca sulla nave scuola Havre et Guadaloupe, diretta a Rio de Janeiro, e durante il viaggio esegue caricature dell’equipaggio; rientrato a Parigi, viene nuovamente respinto all’École Navale e ottiene infine il consenso ad intraprendere la carriera artistica. Nel 1850 entra nell’atelier di Thomas Couture il cui insegnamento poteva apparire, per certi aspetti, innovativo. Negli stessi anni in cui lavora presso Couture, tra il 1850 e il 1856, Manet frequenta l’Académie Suisse e studia al Louvre. Nel 1852 compie il suo primo viaggio in Olanda; l’anno seguente soggiorna a Venezia e a Firenze, dove esegue copie da Lippi e Tiziano (la Venere di Urbino). Intorno al 1853 si presume abbia compiuto un viaggio a Kassel, Dresda, Praga, Vienna e Monaco. Nel 1855 visita lo studio di Delacroix e si esercita nella copia della sua Barca di Dante (1854?: Lione, Musée des Beaux-Arts). Lasciato l’atelier di Couture (1856), continua a frequentare il Louvre, dove nel 1857 conosce Fantin Latour; in quell’anno compie un secondo soggiorno di studio in Italia. Nel 1859 il suo Bevitore di assenzio (Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek) è rifiutato al salon parigino, nonostante il voto favorevole di Delacroix. La scelta del soggetto del dipinto, ispirato alla vita quotidiana parigina, è influenzata da Baudelaire, che Manet ha conosciuto due anni prima; sotto il profilo formale, l’opera riflette l’attenzione per la pittura di Velázquez, che l’artista aveva studiato a Parigi e a Vienna. Al Salon del 1861, presenta il Ritratto di M. e Mme Manet (1860: Parigi, Musée d'Orsay), caratterizzato dal modellato espressivo dei volti e dalla semplificazione dei piani, e il Chitarrista spagnolo (1860: New York, Metropolitan Museum of Art), che gli vale una menzione d’onore, unico riconoscimento ufficiale per tutto il ventennio successivo. L’influsso di Baudelaire è ancora più evidente nella tela Musica alle Tuileries (1862: Londra, National Gallery), che fissa un’immagine reale della società elegante del Secondo Impero, ricca di riferimenti al coevo scritto del poeta Peintre de la vie moderne. Questo dipinto, più ancora del Déjeuner sur l’herbe, gioca un ruolo decisivo nella storia della pittura moderna: il soggetto contemporaneo e le novità tecniche e di materia che vi sono introdotte ne faranno un punto di riferimento per tutta la pittura impressionista e post-impressionista. Giudicata negativamente dalla critica, l’opera viene posta sotto accusa per i violenti accostamenti di colore, la compresenza di parti finite e appena abbozzate, le incongruenze spaziali, i dettagli contemporanei, e soprattutto la scelta del soggetto che, rimandando all’iconografia popolare delle stampe commerciali, svilisce la pittura, ritenuta genere nobile. Tra le opere realizzate ancora in quell’anno (1862) spicca il sensuale ritratto della ballerina Lola di Valenza (Parigi, Musée d'Orsay), che scandalizza, oltre che per il soggetto noto alle cronache mondane del tempo, per gli arditi accostamenti di nero e bianco intorno al viso. Difeso da Zola, che ne sottolinea i rimandi alla tradizione pittorica spagnola, il dipinto viene presentato al Salon des Refusés di quell’anno, insieme ad altre opere, tra cui Le déjeuner sur l’herbe (1863: Parigi, Musée d'Orsay), nuova fonte di scandalo e di indignazione. L’opera riprende e traspone in chiave moderna un soggetto della pittura rinascimentale, i cui precedenti sono stati individuati nel giorgionesco Concerto campestre, e nel Giudizio di Paride di Raffaello attraverso un’incisione di Marcantonio Raimondi. La reazione negativa suscitata dal dipinto è da attribuire, oltre che alla contiguità tra figure nude e vestite giudicata immorale dai benpensanti, all’ambientazione del gruppo all’aperto e non in atelier, e ancora alla tecnica pittorica dell’artista che contrasta sia con i precetti della pittura accademica, sia col gusto del pubblico. In effetti il procedimento utilizzato da Manet nega una resa coerente della prospettiva, e abolisce i volumi, il chiaro scuro e le mezzetinte; ne deriva un effetto bidimensionale, accresciuto dalla stesura volutamente piatta, dall’uso di contorni ben definiti e di audaci contrasti di tinte luminose e opache. I precedenti per tali scelte stilistiche sono stati individuati nella tradizione figurativa giapponese per l’assenza di profondità, e nella pittura spagnola per modelli e scelte cromatiche. Analogamente a Le déjeuner sur l’herbe, anche l’Olympia (1863: Parigi, Musée d'Orsay), presentata al Salon del 1865, intreccia riferimenti a prestigiosi esempi dell’arte del passato (Tiziano, Ingres), con esperienze di vita vissuta, riferimenti letterari e una sottile vena ironica, che non doveva sfuggire ai contemporanei. Nonostante gli aspri attacchi della critica e l’avversione del pubblico, Manet ripropone quest’opera in un’esposizione personale – organizzata a sue spese – concomitante, anche nell’ubicazione con l’Esposizione Universale del 1867; in quello stesso anno Zola gli dedica uno studio biografico e critico pubblicato su «La Revue du XIXe siècle ». Stretti rimandi alla pittura di Velázquez e Goya, sollecitati anche dal viaggio in Spagna compiuto da Manet nel 1865, si colgono in opere come il Pifferaio (1866: Parigi, Musée d'Orsay), rifiutato al Salon, oltre che nelle differenti versioni dell’Esecuzione di Massimiliano del Messico (1867: Boston, Museum of Art; 1868: Mannheim, Kunsthalle), nella Colazione nello studio (1868: Monaco, Neue Pinakothek) e nel Balcone (1868-69: Parigi, Musée d'Orsay), presentata al Salon del 1869. Nonostante che le opere di Manet abbiano giocato un ruolo fondamentale nell’affermazione della pittura impressionista, l’artista rimase volontariamente esterno alle manifestazioni del gruppo. La priorità della figura umana sul paesaggio, una sensibile differenza nella concezione e nella resa della luce, l’uso di un procedimento meno sistematico, sono alcuni dei tratti che distinguono la sua pittura da quella degli impressionisti. Ciononostante, intorno al 1874, si configura un momento di convergenza con questa tendenza, come testimoniano opere quali Monet e sua moglie sull’atelier galleggiante (Monaco, Neue Pinakothek), Argenteuil (Tournai, Musée des Beaux-Arts), In barca e La famiglia di Monet in giardino entrambi al Metropolitan Museum of Art di New York.
Di conseguenza, la sua decisione di non partecipare alla mostra degli artisti indipendenti svoltasi nel 1874, presso Nadar, suscita irritazione e vivaci reazioni tra gli artisti del Café de la Nouvelle-Athènes, ritrovo abituale del gruppo, che Manet frequenta regolarmente, così come in passato aveva partecipato alle riunioni del Café Guerbois. Tra i suoi interlocutori più significativi di questi anni figurano alcuni poeti e scrittori, tra cui Zola, e sopratutto Mallarmé: per quest’ultimo illustra l’edizione francese del Corvo di Poe, curata da Mallarmé stesso e il poema L’après-midi d’un faune. Il fascino del naturalismo zolano si riflette, oltre che nel dipinto Nana (1877: Amburgo, Kunsthalle), respinto al Salon del 1877 e che precede di poco l’uscita del romanzo, in numerose opere ispirate alla vita quotidiana parigina, quali Cameriera di birreria (1879: Parigi, Musée d'Orsay), Coppia al Père Lathuille (Tournai, Musée des Beaux-Arts) e Il bar delle Folies-Bergère (1881-82: Londra, Courtauld Institute Gallery). Quest’ultimo, incentrato sulla malinconia dello sguardo assente della protagonista, lascia forse presagire, nell’intonazione più chiara e nella tecnica più rapida, futuri sviluppi interrotti dalla morte. La nomina di Antonin Proust a ministro delle Belle arti nel 1881, favorisce una rivalutazione dell’opera di Manet, cui viene conferita in quello stesso anno la Legion d’onore; ma solo gli artisti delle avanguardie storiche, in particolare Picasso, comprenderanno appieno la portata delle novità introdotte dalla sua pittura.
(autore: Virginia Bertone in Storia dell'arte Einaudi)