Impressionismo
Impressionismo è il nome con cui viene indicato un orientamento comune a un gruppo di artisti (e non una scuola pittorica vera e propria) che operarono in Francia nella seconda metà del sec. XIX. Il termine (che più tardi fu esteso ad altri ambiti della cultura, in particolare a qualificare una tendenza della musica moderna) trae origine da un articolo del critico del «Charivari» L. Leroy, apparso col titolo L'esposizione degli impressionisti, che così designava sarcasticamente una mostra svoltasi a Parigi in margine al Salon del 1874, nei locali dello studio del fotografo Nadar. Fra gli espositori figuravano Paul Cézanne, Edgar Degas, Armand Guillaumin, Berthe Morisot, Camille Jacob Pissarro, Auguste Renoir, Alfred Sisley e soprattutto Claude Monet, il cui dipinto intitolato Impression. Soleil levant (1872, Parigi, Musée Marmottan Monet) aveva alimentato lo spirito ironico del critico. In aperto contrasto con l'Accademia e in opposizione al gusto ufficiale del secondo impero, che prediligeva le grandi ricostruzioni storiche di Thomas Couture, l'eclettismo di Jean Léon Géròme e di Jean Louis Ernest Meissonier, l'esecuzione minuziosa di Alexandre Cabanel, gli impressionisti sostituirono gradualmente la concezione del «soggetto» con quella del «motivo» attinto dall'osservazione diretta, che a sua volta sottoposero al culto dell'effimero, cogliendo la natura in funzione del suo mutare secondo l'ora, le stagioni, la luce (elementi questi che contribuiscono a dissolvere il contorno degli oggetti): a tal fine si affidarono a una tecnica pittorica fondata sulla vibrazione cromatica e sulla scissione del tocco, rinunciando all'uso dei grigi, dei toni ocra e delle terre per giustapporre sulla tela solamente colori puri, destinati a fondersi nel momento della percezione visiva. In questa ricerca di una pittura inedita gli impressionisti trassero profitto da una scoperta recente, la fotografia, e dalla moda delle stampe giapponesi, favorita dalla ripresa dei rapporti commerciali col Giappone (1854). Tali stampe, in gran parte di stile Ukiyo-e (o «pittura del mondo mutevole»), attirarono l'attenzione dei giovani pittori con la freschezza dei loro colori chiari e la capacità di captare il paesaggio nei suoi fremiti, nella sua immediatezza. Stampe e ventagli giapponesi non tardarono a popolare gli ateliers; lo stesso Zola teneva nel suo studio una stampa e un paravento giapponesi (Ritratto di Zola di Manet, 1867-68, Parigi, Louvre). Ma fu Degas, più degli altri, a subire il fascino dell'insolita ripartizione dello spazio proprio di questo stile grafico. Anche la fotografia si avvantaggiava del prestigio della novità; e taluni artisti all'«istantaneo fotografico» (inventato nel 1863) tentarono di sostituire l'«istantaneo pittorico», sorta di rappresentazione illusoria della natura colta al vivo. Ma altri seppero trame maggior partito, e videro nel cliché un nuovo, straordinario mezzo d'investigazione. Tra costoro si annovera ancora Degas, che ne comprese con straordinario intuito tutte le possibilità: impostazioni decentrate, tagli netti e inconsueti, prospettive in obliquo, angolazioni dall'alto verso il basso o viceversa (Donna con crisantemi, 1865, New York, Metropolitan Museum of Art, New York; L'absynthe, 1876, Parigi, Musée d'Orsay).
L'impressionismo in pittura
Cronologia e protagonisti
Storicamente, l'impressionismo è limitato agli anni 1874-86 (date che corrispondono alla prima e all'ultima esposizione del gruppo). Tuttavia la maggior parte degli storiografi del movimento (L. Venturi, J. Rewald, J. Leymarie, J. Lassaigne, K. Cogniat, F. Mathey, G. Bazin) hanno a lungo dibattuto il problema di tali frontiere cronologiche: da un lato, già intorno al 1869, Monet e Renoir ricorsero intuitivamente a quelli che ne saranno i principi fondamentali; dall'altro, a partire dal 1886, gli stessi promotori del movimento modificarono gli elementi del loro linguaggio; Cézanne, Gauguin, Toulouse-Lautrec si posero alla ricerca di nuove soluzioni; Seurat e Signac tesero a una sorta di codificazione. Taluni storiografi (Venturi, fra questi) includono nel gruppo degli impressionisti i soli corifei del movimento, mentre altri (per es., Rewald) vi ammettono tutti gli artisti che esposero con il gruppo. Oltre a riconoscere l'influenza esercitata dall'impressionismo sulla musica (C. Debussy, G. Paure) o sulla letteratura (J. Laforgue, M. Proust), a ragione gran parte degli storiografi riconoscono una relazione tra l'impressionismo e la scienza. Sarebbe, tuttavia, errato dilatare eccessivamente la portata di questa relazione: l'uso empirico dei colori da parte degli impressionisti si accordò spontaneamente con la teoria della scomposizione della luce attraverso il prisma formulata da Eugène Chevreul nella sua Legge del contrasto simultaneo dei colori (1839); ma i primi impressionisti non si sono mai dati una rigorosa metodologia, a differenza dei più giovani Seurat e Signac, che si riferirono ai lavori di H. L. F. Helmholtz (1878) e di N.O. Rood (1881), di J.C. Maxwell e di Ch. Henry.
Fatta eccezione per Camille Pissarro e per Gustave Caillebotte, tutti i maestri dell'impressionismo nacquero nell'arco di circa un decennio: tra il 1832 e il 1841. Erano, per la maggior parte, parigini o si trasferirono in giovane età nella capitale, e appartennero alla borghesia agiata. Sono Edouard Manet, Edgard Degas, Alfred Sisley, Paul Cézanne, Claude Monet, e poi Armand Guillaumin, Frédéric Bazille, Berthe Morisot e Auguste Renoir. Della cerchia degli impressionisti fecero parte anche F. Bracquemond, l'americano J. Whistler, Zacharie Astruc, Henri Fantin-Latour e Mary Cassat. A una successiva generazione appartengono Paul Gauguin, Vincent Van Gogh, Henri-Edmond Cross, George Seurat, Paul Signac e Henri deToulouse-Lautrec. Il caso volle che tutti, intorno al 1860, s'incontrassero a Parigi, o intorno a Monet studiando all'Atelier Gleyre (Bazille, Renoir, Sisley), o intorno a Pissarro lavorando liberamente alla cosiddetta Académie Suisse (Cézanne, Guillaumin), o, infine, copiando al Louvre (Degas, Manet, Morisot).
Dai primi tentativi al «Salon des refusés» del 1863
Fino ad allora ciascuno di questi artisti aveva ammirato da un lato i maestri della scuola di Barbizon, J.-F. Millet, C. Corot e Ch.-F. Daubigny, che tentavano di dar l'illusione (ma dipingendo in studio) del «plein air», e dall'altro il realismo di Courbet, il pittore di Ornans che alcuni di loro avrebbero conosciuto personalmente. Vicino a Honfleur, E. Boudin e J. Jongkind dipingevano già «sur le motif» e si mostravano attenti alle variazioni della luce sulle spiagge di Normandia. Sarà appunto Boudin che esorterà Monet, negli anni successivi al 1858, a dipingere esclusivamente «en plein air», affermando che «tre pennellate dal vero valgono più di due giornate di lavoro al cavalletto». Da lui Monet erediterà la passione per la veduta delle spiagge marine, venute di moda in seguito allo sviluppo del turismo e si sforzerà (schiarendo, al tempo stesso, la sua tavolozza) di non dissociare lo studio preparatorio dall'esito finale del quadro, in modo che la tela conservasse la freschezza dell'improvvisazione. Restar fedeli all'«impressione» era l'imperativo del momento: già nel 1863, quindi dieci anni abbondanti prima della famosa esposizione, il critico J.-A. Castagnary osservava a proposito di Jongkind : «In lui, tutto risiede nell'impressione»; e nel 1865 designava Daubigny come «maestro dell'impressione». E assai prima, al Salon del 1847, Th. Thoré-Burger osservava che scopo della pittura è «di comunicare agli altri l'impressione vissuta dall'artista al cospetto della natura». Altro impegno è quello di dipingere la figura «en plein air». Courbet (che preferiva far portare un bue nel suo studio piuttosto che andare a dipingerlo direttamente nei campi) aveva tentato l'esperienza, ma sempre senza uscire all'aria aperta (Demoiselles des bords de la Seine, 1856. Parigi, Mus. d'Art Moderne de la ville de Paris); e così pure aveva fatto Manet in Musica alle Tuileries (1860-61, Londra, Nat. Gal.).
Destinato tra il '60 e il '70 a svolgere, suo malgrado, quel ruolo rivoluzionario che Courbet aveva svolto dieci anni prima, Manet (che, stando a quanto riferisce Mallarmé, ripeteva sovente: «L'occhio, una mano», riassumendo così con straordinaria concisione l'intima relazione tra percezione e gesto pittorico) polarizzerà su di sé l'attenzione malevola della critica e l'ilarità del pubblico al «Salon des refusés» del 1863, dove espose il Déjeuner sur l'herbe (Parigi, Louvre); da quest'opera ogni riferimento mitologico, rapportabile al Concerto campestre del Giorgione era stato escluso, in omaggio alla «modernità», il mito esaltato da Baudelaire già intorno alla metà del secolo. Per essere riconosciuti occorreva, in quel tempo, esporre al Salon, ma l'accedervi comportava il «filtro» di una giuria che temeva la portata politica del realismo e si ostinava a difendere una gerarchia dei generi, nel cui ambito il paesaggio occupava l'ultimo posto. Poiché nel 1863 vennero respinte più di 4000 opere, suscitando un forte scontento negli ambienti artistici, Napoleone III (fresco acquirente della sdolcinata Venere di Cabanel) istituì il «Salon des refusés» in opposizione al Salon ufficiale. Vi esposero, oltre a Manet, Fantin-Latour, Guillaumin, Jongkind, Cézanne, Pissarro, Whistler, Bracquemond.
Dal 1863 alla prima esposizione di gruppo del 1874 Nuovo scandalo susciterà, al Salon del 1865, l’Olympia (Parigi, Louvre) di Manet, giudicata troppo «impudica», mentre i giovani indipendenti vi ravvisarono un manifesto. (E forse proprio per tale motivo più tardi Monet aprirà una sottoscrizione per far di questo quadro dono al Louvre.)
Frattanto altri amici si convertivano alla pittura «sur le motif» (le Donne in giardino di Monet, 1867 Parigi, Louvre, influenzarono La riunione di famiglia di Bazille, 1867-69, Parigi, Louvre). Al Café Guerbois, dove si riuniva, in quel periodo la «bande à Manet», venivano elaborate le nuove idee. Dominavano il cenacolo due scrittori: L.-E. Duranty, già difensore del realismo (nel 1856 aveva fondato la rivista omonima) e amico intimo di Degas; e Zola, che ebbe il compito di dare consistenza teorica alle riunioni. Nel gruppo brillava Degas con feroci battute contro i paesaggisti; frequentava il Café Guerbois anche Cézanne, benché nel 1867 fosse ancora tributario del romanticismo e dipingesse a pennellata piena (Il ratto (Londra, coll. priv.). Pissarro, che talvolta si firmava ancora «allievo di Corot» e dipingeva nella regione di Pontoise (L'eremo di Pontoise, 1867, Londra, coll. priv.), vi capitava spesso e così pure Renoir, che si dedicava al «plein air» nella foresta di Fontainebleau. Questi incontri al Café Guerbois daranno al gruppo una certa coesione, e nei quadri dipinti fianco a fianco da Renoir e Monet nel 1869, ai famosi bagni della Grenouillère sulLa Seine, Paris presso Bougival, è dato di ravvisare i primi dipinti pienamente esemplificativi di ciò che sarà l'impressionismo; l'accento viene posto sulla vibrazione dei riflessi sull'acqua, i tocchi sono allungati, densi di materia, giustapposti rispettando l'alternanza di zone chiare e scure, mentre la luce unisce figure e paesaggio in un'unica atmosfera. Nel momento in cui le ricerche stavano prendendo corpo (citiamo ancora Pissarro; La diligenza a Louveciennes, 1870, Parigi, Musée d'Orsay), scoppiò la guerra franco-prussiana. Nutriti, parte di loro almeno, di idee di opposizione, di spirito repubblicano e umanitario che si era diffuso negli anni antecedenti il conflitto, esasperati dal convenzionalismo e dalle dottrine ufficiali (difese dai Salon e, indirettamente, dal potere), maturarono la convinzione che la guerra interessasse una società alla quale essi non appartenevano e addirittura che essa potesse determinare una rottura forse anche salutare. Solo Bazille si arruolò immediatamente e morì in combattimento. Renoir venne chiamato alle armi suo malgrado; Degas e Manet aspettarono ad arruolarsi alla caduta dell'impero; Cézanne si ritirò all'Estaque; Monet lasciò Le Havre e si trasferì a Londra, dove trovò Pissarro, Sisley e Daubigny, che li fece conoscere a Paul Durand-Ruel, il mercante d'arte il cui nome resterà indissolubilmente legato a quello dell'impressionismo. A Londra Monet e Pissarro scoprirono Constable e la magica luce di Turner (Pioggia, vapore, velocità, 1843, Londra, National Gallery). Tema moderno per eccellenza, la strada ferrata interesserà Pissarro (La fermata a Penge; Upper Norwood, 1871, Londra, Courtauld Institute of Art), e successivamente tutti gli impressionisti, in particolare Monet (serie de La Gare Saint-Lazare, 1896-97).
Intorno al 1872 tutti si ritrovarono a Parigi, preferendo ora la Nouvelle Athènes al Café Guerbois. Frattanto Monet si era trasferito ad Argenteuil; vi abitò per sei anni, ricevendo frequenti visite di Renoir da Parigi e di Sisley da Louveciennes (Piazza di Argenteuil, 1872, Parigi, Musée d'Orsay). Poiché a loro volta Cézanne e Guillaumin si incontravano con Pissarro nei dintorni di Pontoise, vennero così a ricostituirsi in parte i due gruppi che si erano formati dieci anni prima praticando l'Atelier Gleyre e l'Académie Suisse. I due capifila, Monet e Pissarro, erano ormai padroni della nuova tecnica. Mentre Cézanne tentava, accanto a Pissarro, di assimilare la lezione impressionista, Monet e Renoir rinnovavano l'esperienza vissuta nel 1869 alla Grenouillère lavorando l'uno accanto all'altro. In Stagno con anatre, 1873 (l'esemplare di Renoir a Roquebrune, Coll. Reves; quello di Monet a Parigi, coll. priv.) e Vele a Argenteuil, 1873-74 (l'esemplare di Monet a Parigi, Louvre; quello di Renoir a Portland, Oregon, Art Mus.) ogni intensità di colore, ciascun mutamento di luce, sono resi mediante minutissimi tocchi «a virgola». Grazie all'ascendente esercitato da Monet su tutto il gruppo, lo stesso Manet nel 1874 dipinse fuori Parigi il suo Monet che lavora nel suo bàteau atelier a Argenteuil, 1874 (Monaco, Bayerische Staatsgemaldesammlungen). Soltanto Degas (anch'egli tuttavia si era applicato nel 1869 alla pittura di paesaggio dal vero) restò essenzialmente legato alla città (Il ridotto della danza all'Opera, 1872; Il palco, 1874, entrambi a Parigi, Louvre) e non lasciò Parigi che per eseguire degli schizzi sui campi di corse, trasponendoli poi sulla tela in atelier. Ma anch'egli, preoccupato dalla «resa» della luce, seppe trarre eccellenti effetti dall'illuminazione artificiale, ora violenta ora smorzata, della scena, ricorrendo sia a un gioco di dissolvenza dei colori e a una sorta di pulviscolo luminoso, sia a nuovi procedimenti tecnici (tempera, pastello, monotype ecc.). La pittura di Monet conobbe un'ulteriore evoluzione nel 1873-74 (I papaveri, 1873, Parigi, Louvre); e fu un gruppo finalmente abbastanza omogeneo quello che fondò la «Société anonyme cooperative» e che nel 1874 affrontò per la prima volta il pubblico. Fu un vero scandalo; l'anno seguente il gruppo organizzò, con esito catastrofico, una vendita all'asta all'Hôtel Drouot.
Le altre esposizioni (1876-86)
La seconda esposizione del gruppo ebbe luogo nel 1876 presso il mercante Durand-Ruel e attrasse ben pochi visitatori, benché il giudizio della critica fosse più favorevole : Philippe Burty, J.-A. Castagnary, Georges Rivière (che pubblicava la rivista «L'impressioniste») e altri cominciarono a prender le loro difese; più di ogni altro li sostenne Duranty nella sua Nuova pittura (1876). La terza esposizione (1877) presentò al pubblico i più splendidi Sisley (L'inondazione a Port-Marly, 1876, Parigi, Louvre) e il fulgido, abbagliante Ballo al Moulin de la Galette di Renoir (1876, Parigi, Louvre).
Essa costituì forse l'esposizione più omogenea del gruppo: Th. Duret la sostenne apertamente nel suo libro sui Pittori impressionisti (1878). Ma a partire dalla quarta esposizione (1879) e fino all'ottava (1886), affiorarono i dissensi, insieme con il desiderio di certuni di aver successo al Salon. Pissarro introdusse Gauguin, e Degas impose i suoi amici F. Zandomeneghi e J.-Fr. Raffaelli. Via via si allontanarono dal gruppo Renoir e Sisley, Monet e Cézanne. Sorsero dissidi che lasciavano presagire l'ormai prossima frattura: ognuno sembrava tendere a un irrigidimento dei propri metodi; ciò divenne evidente all'esposizione del 1883, anno della morte di Manet, e fu confermato dalla produzione più tarda. Come osserva Venturi, «Monet mostrò di optare per un simbolismo dei colori e della luce» (la serie de La Cattedrale di Rouen, 1894, Parigi, Louvre; le vedute di Londra, 1904 e di Venezia, 1908; le Ninfee, 1915, Parigi, Jeu de Paume); «Pissarro fu attratto dal «pointillisme» (L'Ile Lacroix, Rouen, Effetto nebbia,1888, Filadelfia, coll. priv.); «Renoir volle assimilare elementi di forma accademica» (Les grandes baigneuses, 1884-87, Parigi, Louvre); infine, «Cézanne concentrò la sua attenzione sui problemi di struttura» (Rocce nel bosco, 1896-98, Zurigo, Kunsthaus); e «Sisley risolse la sua problematica nel manierismo» (Moret, le rive del Loing, 1892, Parigi, Louvre). Fu merito di Pissarro, unico sempre presente alle otto manifestazioni collettive, se l'ultima, nel 1886, ebbe luogo. Ma del gruppo iniziale figuravano ormai soltanto Degas, Guillaumin e Berthe Morisot, sommersi o quasi da coloro che già mostravano di reagire all'impressionismo, sia in nome dell'idealismo e della spiritualità (O. Redon, Gauguin, gli iniziatori cioè del simbolismo), sia in nome della scienza e della fisiologia della visione (Seurat, Signac, protagonisti dell'ultimo sovvertimento estetico dell'impressionismo).
La consacrazione critica
L'impressionismo fra continuità e rottura
Nondimeno, proprio nel momento in cui gli impressionisti sembravano maggiormente disuniti, si manifestarono i primi segni della consacrazione. Beninteso, l'ostilità degli ambienti ufficiali perdurava con il rifiuto di esporre l'Olympia di Manet al Louvre e lo scandalo del legato Caillebotte (1894): l'Institut pretese di opporsi al legato di questa collezione comprensiva di 65 dipinti del pittore; ma Renoir, nella sua qualità di esecutore testamentario, riuscì egualmente a farne accettare una quarantina al Musée du Luxembourg. I primi amatori furono, fra gli altri, V. Choquet, G. Charpentier, il conte Doria; parallelamente cominciava a organizzarsi il mercato, che tanta importanza doveva avere per l'affermazione della pittura impressionista: Paul Petit, Boussot & Valladon, Bernheim e soprattutto Durand-Ruel, che nel 1886 presentò più di 300 tele a New York, ove la critica si espresse in termini del tutto favorevoli. Intorno al 1900 il pubblico, ormai, rideva meno. Cominciavano le aste.
Tutto ciò è però ben poca cosa, quando lo si paragoni con il successo critico che il movimento conobbe durante il novecento, successo coronato dall'apertura, subito dopo la seconda guerra mondiale, del Musée dell'impressionismo a Parigi (al palazzetto del Jeu de Paume) e, in epoca più recente, dall'Esposizione del Centenario. Le ragioni di un così grande fervore da parte del pubblico sono molteplici. Nell'impressionismo si riconosce la prima rivoluzione pittorica che abbia tagliato netto con la tradizione del passato, e pertanto l'atto di nascita dell'arte moderna. Inoltre, ci si compiace spesso di associare l'impressionismo alla nozione magica di «avanguardia», nata col ‘900 In effetti gli inizi dell'impressionismo sottolinearono una delle fasi cruciali del contrasto tra gusto borghese e libera creazione artistica: un conflitto che si risolse, per numerosi fra i suoi promotori, in un'esistenza di miseria e nella condizione di «artisti maledetti», altro mito squisitamente moderno.
La realtà è comunque assai più complessa, e sta forse nella fondamentale bivalenza di continuità e rottura, insite nel movimento. Continuità, innanzitutto: considerati individualmente, i membri del gruppo non presentano alcunché di rivoluzionario; e quando raffigurarono la città, nonostante gli eventi della Comune, non dipinsero secondo quello spirito innovatore che ispirò Delacroix nel dipingere la Libertà sulle barricate, bensì ne illustrarono lo scenario festoso e fiabesco: si pensi al Boulevard des Capucines di Monet (1873, New York, coll. priv.), al Ballo al Moulin de la Galette, oppure alla Musica alle Tuileries. Se è pur vero che l'aristocratico Degas prova interesse per il microcosmo delle modiste e delle lavandaie, la pittura «en plein air» non si può semplicemente spiegare come moda cittadina favorita dal diffondersi dei trasporti pubblici. D'altra parte, nessuno di loro nascondeva la propria velleità di essere accolto al Salon (e vi furono col tempo ammessi quasi tutti, e nel 1883 Manet fu persino insignito della tanto ambita Legion d'Onore). Nell'intento di avvicinarsi più intimamente alla natura, gli impressionisti restarono impregnati da quello stesso realismo che credevano di combattere. In effetti, ciò che ricercavano era ancora la «copia fedele della natura», la «verità obiettiva», una nuova «imitazione» dell'effimero e del mondo «nell'atto di crearsi». Sotto questo profilo, l'impressionismo si iscrive con perfetta continuità nella tradizione del paesaggio francese nel sec. XIX, giacché per esso il quadro rappresenta ancora una «finestra aperta» sul mondo, erede suo malgrado della «veduta». La sua importanza non risiede, dunque, nell'aver infranto ma nell'aver splendidamente concluso una tradizione antica di secoli.
D'altra parte, l'impressionismo riveste anche un valore di rottura; e in questi termini è stato inteso sin dal momento in cui ha avuto inizio la sua diffusione, in Francia come all'estero. In Francia, dove certi musei di provincia (Le Havre, Lione) hanno mostrato, a volte, maggior ansia di acquistare dipinti impressionisti rispetto al Louvre, il Salon d'Automne svolse un ruolo importante, presentando nel 1904 33 opere di Cézanne e 35 di Renoir, nel 1905 31 di Manet, nel 1907 di nuovo Cézanne con 56 quadri. Sarebbe stato più facile, da quel momento, comprendere ciò che le prime opere di Matisse dovevano a Manet e a Signac; ciò che in Renoir preannunciava Bonnard; gli insegnamenti che i cubisti avrebbero tratto da Cézanne.
L'impressionismo negli altri paesi europei
Non è possibile parlare negli stessi termini dell'impressionismo francese e dei numerosi emuli impressionisti belgi, olandesi, norvegesi, danesi o russi. Con l'importante esposizione organizzata nel 1883 alla Galleria Gurlitt di Berlino, la Germania dimostrò di essere una delle nazioni europee più ricettive della nuova estetica. J. Meier Graef pubblicò Il moderno impressionismo (Berlino, 1903) nel momento stesso in cui il conservatore Rugo von Tschudi acquistava numerosi dipinti impressionisti per la Galleria Nazionale di Berlino: gesto che avrà, quale conseguenza, le dimissioni impostegli dal Kaiser Guglielmo II, ma che non gli impedì di perseverare nella sua politica di acquisti alla Neue Pinakothek di Monaco. Nel 1904 la Libre Esthétique di Bruxelles presentò un ricco complesso di quadri impressionisti. L'anno seguente fu la volta di Londra e di Berlino, nel 1908 di Zurigo, nel 1910 di Lipsia. Quanto all'Italia, la sua partecipazione al movimento impressionista è stata sovente male interpretata. Indubbiamente Giuseppe de Nittis figurò alla prima esposizione del gruppo, nel 1874, e cinque anni più tardi Federico Zandomeneghi partecipò alla quarta. Ma si trattava di nuove reclute di Degas. Se esposero, lo dovettero a lui: a lui che, indubbiamente, nel corso del suo soggiorno fiorentino del 1858 non aveva potuto ignorare l'attività dei macchiaioli: Silvestre Lega, Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Nino Costa. Ma sarebbe errato confondere la tecnica dei macchiaioli, ancora tributaria del chiaroscuro, o quella dello scultore Medardo Rosso, con le intenzioni della «bande à Manet», attenta al cromatismo e alla luce dell'aria aperta. Del resto risulta che i due quadri di Pissarro, che il critico D. Martelli riuscì a far esporre alla Promotrice Fiorentina, non incontrarono alcun apprezzamento da parte dei pittori toscani. Si dovè attendere il 1903 e il 1905 perché la Biennale di Venezia accogliesse un numero ancora assai limitato di opere di Monet, Pissarro, Renoir e Sisley, grazie alle pressioni di V. Pica che nel 1908 pubblicò a Bergamo Gli impressionisti francesi, unico studio di rilievo apparso in Italia prima dell’Impressionismo di Ragghianti (1947) e la traduzione dell’Histoire de l'impressionisme di J. Rewald (1949) con prefazione di Roberto Longhi, al quale si deve altresì la prima grande retrospettiva dell'impressionismo organizzata in Italia (Biennale di Venezia, 1948). Ricordiamo infine che Lionello Venturi, prima di pubblicare a Parigi e a New York i suoi Archivi dell'impressionismo (1939) aveva difeso la causa dei macchiaioli. Con tutto ciò, quando la collezione di E. Fabbri andò venduta, negli anni Trenta, non un dipinto rimase sul suolo della penisola; e si pensi che essa comprendeva ben 28 tele del solo Cézanne.
La ricchezza dell'impressionismo,» ha scritto Leymarie, «fu di portare in sé il germe del proprio superamento.»
Considerata nel suo complesso, l'opera di Monet illustra di per se stessa questa bipolarità fra continuità e rottura (che, sottolineiamo ancora, è caratteristica essenziale dell’impressionismo): nel suo insaziabile anelito alla realtà visibile, Monet finì col distorcere la realtà stessa e spinse la propria ricerca fino a una sorta d'irrealismo, in netta rottura con la tradizione del paesaggio. Già nel 1873, quando egli dipinse i suoi Papaveri (Parigi, Louvre), i fiori in primo piano, pittoricamente affidati a larghe chiazze rosse, preannunciano il tachisme. E più tardi le sue Ninfee si collocano ai limiti dell'arte informale e dell'astrazione: quella di Delaunay, per esempio, che nelle sue Finestre, nei suoi Contrasti simultanei o nei suoi Ritmi senza fine mostra di aver ereditato in pieno la passione monetiana per la luce solare.
(fonte: Paul-André Jaccard in Enciclopedia Europea Garzanti)