Favretto, Giacomo
Giacomo Favretto, nacque a Venezia l'11 agosto 1849, nella parrocchia di S. Pantaleone da Domenico, falegname, e da Angela Brunello. Con la famiglia, povera e numerosa, si trasferì nel 1862 in un appartamento del palazzo di proprietà dei conti Zanetti a S. Cassiano (Obici Talamini, 1941, p. 1156; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 10, 35). Sebbene avviato dal padre al mestiere di falegname, si accostò presto all'arte, incoraggiato dal conte Antonio Zanetti, che lo fece familiarizzare con la ricca collezione di famiglia e lo introdusse presso lo zio, il pittore Gerolamo Astolfoni, dal quale il ragazzo ricevette forse i primi insegnamenti. Con l'appoggio, probabilmente anche economico, del conte Antonio e dell'antiquario Vincenzo Favenza, al giovane fu assicurata una educazione artistica (Obici Talamini, 1941, p. 1157; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 10, 35).
Dopo un breve apprendistato presso il pittore Francesco Vason, il Favretto entrò all'Accademia di belle arti di Venezia, dove seguì vari corsi dal 1864 al 1873. Allievo di M. Grigoletti e N. Nani per elementi di figura e di F. Moja per prospettiva, seguì infine il corso di pittura di P. M. Molmenti, avendo come compagni di studio G. Ciardi, L. Nono, A. Milesi, P. Fragiacomo (Bassi, 1941; Id., 1950, p. 95 e Perocco-Trevisan, 1986, p. 11). In questi anni fu più volte premiato e riconosciuto tra i migliori allievi. Dal 1874 al 1878 compare nei registri dell'Accademia come "aggiunto per Elementi di figura".
Le prime interpretazioni critiche, che vedevano nel Favretto il moderno erede della tradizione coloristica veneta, da Tiziano a Tiepolo e Longhi (Molmenti, 1895, pp. 18 ss.; Ojetti, 1930; Soniarè, 1935, pp. 28 s.), sono state più tardi integrate dall'analisi delle diverse componenti che confluirono nella prima formazione dell'artista, avvenuta in un momento storico di transizione, nella Venezia da poco italiana e in un ambiente artistico accademico e periferico, ma non del tutto estraneo alle conquiste del realismo dell'Italia centromeridionale.
La lezione di Grigoletti avviò il Favretto all'analisi psicologica, influendo sui ritratti giovanili (Venezia, Museo d'arte moderna, e collezioni private: Obici Talamini, 1941; Fiocco, 1961, pp. 7 s.; Perocco, 1960; Neoclassicismo, romanticismo…, 1971, pp. 24, 56, 58; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 13 s., 42 ss.). Alcuni disegni a penna, per la precisione del tratteggio, appaiono influenzati dalla tecnica incisoria appresa ai corsi di grafica seguiti all'Accademia (Bassi, 1941, p. 101), ma probabilmente studiata anche sulle stampe antiche della raccolta dei conti Zanetti (Perocco-Trevisan, 1986, pp. 13 s.).
L'insegnamento del Nani spinse il Favretto, invece, a sperimentare temi di attualità, sulla strada già indicata da P. Selvatico in un discorso all'Accademia nel 1850 (Scritti d'arte, Firenze 1859, pp. 181-186). Più importante, per lo studio lenticolare del vero, fu la lezione del Molmenti, che sviluppava ricerche naturalistiche nuove per i suoi soggetti storici e accademici. Per la pittura del Molmenti è stato suggerito l'influsso del dagherrotipo (Maltese, 1968, pp. 14 s.); mentre soltanto due indizi sono stati rintracciati sull'utilizzazione della fotografia da parte del Favretto: l'esistenza dei ritratti fotografici dei coniugi Gyepes, fedelmente riprodotti dal pittore in due disegni a penna del 1869 (Obici Talamini, 1941, p. 1 160), e l'accenno ad alcune fotografie di gondolieri realizzate dal Favretto come materiale di studio per il più tardo dipinto Traghetto della Maddalena del 1887 (Milano, coll. privata: Boito, 1888, p. 2). L'utilizzazione diretta di immagini fotografiche era peraltro diffusa tra gli artisti veneziani del tempo: P. Bresolin, suo maestro alla scuola di paesaggio (Bassi, 1941, p. 101), era iscritto come "pittore paesista e fotografo" nei registri dell'Accademia (Bassi, 1950, p. 74) e lavorava con gli studenti servendosi largamente della talbotipia; sembra che nella cerchia del Favretto, da Ciardi a Milesi a Nono, fossero "tutti più o meno clandestinamente dediti all'uso del modello fotografico per lo meno concettualmente, ma spesso anche praticamente, con il riporto della sinopia fotografica sulla tela" (Fotografia a Venezia…, 1986, p. 17).
Spetta al Biancale (1936) il merito di aver individuato l'elemento catalizzatore per la pittura veneta di quegli anni nella presenza a Venezia, tra il 1867 e il 1870, di V. Cammarano, che, insieme con i viaggi di Zandomeneghi e Gardi a Firenze, Roma e Napoli, costituì il tramite più importante fra la pittura lagunare e le esperienze più avanzate del verismo italiano. Sono, infatti, proprio le opere di Cammarano, Le risorse della povera gente e Incoraggiamento al vizio, realizzate per mecenati veneziani ed esposte a Venezia nel 1867 e nel 1868. a giustificare l'innovativa visione che emerge quasi improvvisamente nella Scuola di pittura del 1871 (Venezia, coll. privata), dove la qualità del colore, la scelta dei contrasti cromatici e luminosi per costruire le forme e la ripresa diretta di un soggetto quotidiano indicano la profonda percezione della lezione macchiaiola. Il Biancale (pp. 54 ss.) ne individuò il diretto prototipo in un olio del Cammarano del 1865 con lo stesso soggetto (vedi anche Venezia nell'Ottocento..., 1983, pp. 194 s.; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 14, 44). Con Lezione di anatomia (Milano, Galleria civica di arte moderna), esposto a Brera nel 1873, e La famiglia Guidini (Venezia, Museo d'arte moderna, in deposito dalle Gallerie dell'Accademia) dello stesso anno, il Favretto sviluppò ulteriormente questa ricerca del vero attraverso una scansione cromatica e luminosa dello spazio, entro cui i tipi umani appaiono colti con sorprendente fedeltà fisica e psicologica (Neoclassicismo, romanticismo..., 1971, pp. 24, 172; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 14-17, 48 s., 52 s.). A questa produzione si accostano, per la qualità cromatica e il lucido realismo, altri dipinti contemporanei o di poco successivi: Dopo il viaggio (1873, coll. privata), I miei cari (1874; Padova, coll. privata) e Giocatori di scacchi (1874-75; Roma, coll. privata: Boito, 1874; Cecchi [1926], 1988, pp. 135 ss.; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 16 s., 56, 65).
In La moglie di un pittore ingelosita (Como, coll. privata), esposto anch'esso a Brera nel 1873, emerge il gusto per la narrazione e l'aneddoto, e si avverte, come in tutta la produzione di questi anni, la suggestione della pittura del Seicento olandese di cui esisteva una ricca collezione nei sotterranei dell'Accademia (Cecchi [1926], 1988, p. 132; Pignatti, 1950, p. 396; Perocco-Trevisan, 1986, p. 16). L'interesse aneddotico predomina in Ingresso di una casa patrizia a Venezia (Montecatini Terme, coll. privata), esposto a Brera nel 1874, in Scuola di piccoli fanciulli (Venezia, coll. privata), che compare alla stessa esposizione nel 1876, e culmina nel 1878 con il primo successo di pubblico ottenuto sempre a Brera: Il sorcio (Milano, Pinacoteca di Brera; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 22, 179). Da questo momento l'aspetto prevalente della produzione favrettiana, anche se non l'unico, è rappresentato dal vivace e facile racconto, per temi ricorrenti, della quotidianità popolare, dalla vita delle piazze e dei mercati a quella delle botteghe, dei mestieri, degli interni domestici.
Dipinti come Una sartoria (Crema, già coll. Stramezzi) e La ricetta (Torino, coll. privata), esposti a Parigi al Salon del 1878; In attesa degli sposi (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), esposto a Brera nel 1879; Erbaiolo veneziano (Carignano, coll. Delleani), Stampe e libri (Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Neue Pinakothek) e Banco del lotto (Roma, coll. privata), esposti a Torino nel 1880; El difeto xe nel manego (Milano, coll. privata), esposto a Milano nel 1881; Il mercato in campo S. Polo (Roma, coll. privata), esposto all'Esposizione di belle arti di Roma del 1883; Dopo il bagno (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e El me dise "Rossa mia", esposti a Brera nel 1885; o Fiera di Pasqua al ponte Rialto (Londra, coll. Tooths) incontravano pienamente il gusto della borghesia contemporanea che scambiava per verità della rappresentazione questa acquisizione dei dati reali in un'ottica edulcorata e consolatoria (Molmenti, 1895, p. 18). Se l'arte del Favretto sembra evidentemente più affine al teatro dialettale del contemporaneo G. Gallina che al grande affresco storico sociale di livello europeo dell'universo goldoniano, al quale faceva spesso riferimento la critica contemporanea (Boito, 1880; Molmenti, 1895, p. 20; Valeri, 1949; Pignatti, 1950, p. 396; Perocco-Trevisan, 1986, p. 13), l'attenzione in essa per le tipologie e le consuetudini popolari corrisponde ad un nascente fervore documentario per i caratteri sociali e antropologici locali, evidente nella produzione contemporanea di fotografi come Carlo Naja e Carlo Ponti e nelle iniziative di editori come Federico Ongania (Molmenti-Mantovani, 1893; Venezia nell'Ottocento…, 1983, p. 188; Fotografia a Venezia, 1986).
In occasione della partecipazione al Salon del 1878 il Favretto compì il suo unico viaggio a Parigi in compagnia di G. Ciardi. Gran parte della critica è concorde nel riconoscere la limitata utilità di questa esperienza o addirittura la suggestione negativa operata dalla virtuosistica e rutilante pittura di genere di M. Fortuny e dalle spettacolari ricostruzioni storiche di H. Makart e di E. Meissonier (Cecchi, [1926], 1988, pp. 31, 136; Barbantini, 1951 pp. 260 s.; Maltese, 1960, pp. 229 s.; Brizio, 1968, n. 67). Da altri viene, invece, riconosciuto che l'esperienza parigina ebbe effetti positivi sul linguaggio verista del Favretto già maturato autonomamente, specie nei ritratti, attraverso una non convenzionale elaborazione dei moduli della ritrattistica macchiaiola (si veda, oltre alla già citata Famiglia Guidini del 1872, un gruppo di quadri databili attorno al 1875-76: Autoritratto, Venezia, Museo d'arte moderna; Lamia Rosa", Venezia, coll. privata; Donna seduta, Bologna, Pinacoteca civica; La famiglia a tavola, Venezia, coll. privata; Giocatori di scacchi, Roma, coll. privata). Tale linguaggio acquisì infatti, dopo il viaggio a Parigi, una più raffinata impostazione cromatica, fino all'uso delle ombre colorate: caratteri che emergono in Ritratto di una parente (Venezia, Museo d'arte moderna), Ritratto d'uomo (Venezia, coll. privata) e in Dopopranzo in giardino (Vicenza, coll. privata), tutti del 1879 (Catal. della mostra del ritratto..., 1923, pp. 8 s.; Pignatti, 1950, p. 398; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 25 s., 86-89). A Parigi il Favretto realizzò una serie di studi da maestri fiamminghi, confermando il suo interesse per questa pittura (Menegazzi, 1984, p. 569).
II successo ufficiale del pittore venne sancito con Vandalismo del 1880, esposto e premiato in quell'anno a Brera, dove è conservato (Molmenti, 1895, p. 21; Venezia nell'Ottocento..., 1983, pp. 196 s.; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 22 S., 100): tema di estrema attualità nella Venezia contemporanea che, all'indomani dell'unificazione con il Regno d'Italia, cercava di ricostruire la sua identità di antica e splendida potenza attraverso molteplici iniziative nel campo degli studi storici e della tutela delle opere darte (Arnaldi-Pastore Stocchi, 1986, pp. 573 s.). Denunciando con il dipinto la pratica di affidare il restauro di grandi autori, come Tiepolo, a pittori mediocri, colpevoli di sacrileghe ridipinture, il Favretto si accostava alle raccomandazioni di C. Boito (I restauratori..., 1884, pp. 20-27), che teorizzava un embrionale concetto di restauro conservativo (Venezia nell'Ottocento..., 1983, pp. 196 s.).
A introdurre il Favretto - del quale sono note le limitatissime basi culturali (Molmenti, 1895, p. 11; Nani Mocenigo, 1901, p. 227) - in questo ambito di problemi fu certamente l'amicizia con P. G. Molmenti, letterato eclettico, nipote del pittore Pompeo Marino, che nel 1880 pubblicò presso l'editore Ongania gli inediti affreschi del Tiepolo nella villa Valmarana, in un elegante volume illustrato dai disegni neotiepoleschi del Favretto (La villa Valmarana, Venezia 1880; Tiepolo. La villa Valmarana, Venezia 1928; Perocco-Trevisan, 1986, pp. 23, 110 s.). Il Favretto illustrò, inoltre, con piccole scene in costume una raccolta di aneddoti storici, pubblicati dal Molmenti con il titolo Vecchie storie (Venezia 1882). Altro intervento illustrativo fu l'esecuzione dei disegni per un articolo di A. Centelli dal titolo L'estate a Venezia, in L'Illustrazione italiana, 10 ag. 1884, pp. 83-86. Sempre su probabile suggerimento dell'amico Molmenti, il pittore più volte promosse e firmò appelli contro distruzioni ed interventi inopportuni nel tessuto monumentale di Venezia (Boito, 1884; Mohnenti, 1924; Zorzi, 1984).
In questo quadro di orientamenti culturali si colloca l'altra tematica di successo della produzione favrettiana, ricorrente negli anni ottanta, che traduce l'esigenza di identità storica in nostalgiche rievocazioni di ambienti e figure del Settecento veneziano, trattate con lo stesso gusto narrativo, intimo e compiaciuto, delle sue scene di vita contemporanea: Incontro sul ponte (Milano, Fondazione Balzan) esposto a Torino nel 1880; Soli (Milano, Museo della scienza e della tecnica) esposto a Venezia, alla Società promotrice di belle arti, nel 1882 e a Brera nel 1883; Passeggiata in piazzetta (Venezia, Museo d'arte moderna). È lo stesso Molmenti a dare dignità culturale a questa descrizione aneddotica di quotidianità settecentesca, con la pubblicazione a Venezia, nel 1880, di Storia di Venezia nella vita privata.
D'altra parte in questo contesto revivalistico, di recupero delle tradizioni artistiche locali, diventa più consapevole e dichiarato per il Favretto il riferimento alla qualità essenzialmente cromatica della pittura veneta. Attorno al 1880 la sua tavolozza si schiarisce e in generale è amplificata l'intensità delle tinte, attraverso la scelta di spregiudicati contrasti e il progressivo sfaldamento della solidità delle forme. La materia pittorica s'impreziosisce, derivando impasti di colori e sfarzo luministico dallo studio attento di stoffe del Settecento, di cui il pittore amava circondarsi nel suo studio, esaltando forse quel gusto artigianale per la materia ereditato dal padre falegname e restauratore (Molmenti, 1895, pp. 13, 23). È peraltro evidente che l'accentuazione della ricchezza coloristica e della rapidità della pennellata, che raggiunge punte virtuosistiche in La bottega della fioraia (Venezia, già coll. Jucker) del 1881, Il primo passo di Goldoni (Venezia, Museo d'arte moderna) del 1887, Dama veneziana del Settecento (ibid.), dipende in larga parte anche dalla suggestione operata a Parigi sul Favretto dalla pittura di Makart e di Meissonier, che rappresentava la sperimentazione artistica, in versione brillante e commerciale, del recupero critico operato dai Goncourt nei confronti di Boucher, Fragonard, Watteau (Huttinger, 1971, pp. 37 s.; Venezia nell'Ottocento..., 1983, pp. 217 s.).
Una grave malattia, che già nel 1877 gli aveva provocato la perdita di un occhio (Perocco-Trevisan, 1986, pp. 23, 36 s.), portò il Favretto ad una morte precoce, a soli trentotto anni, il 12 giugno 1887, a Venezia mentre si apriva l'Esposizione nazionale artistica di Venezia. Il Favretto vi esponeva Il Liston (Roma, Galleria nazionale di arte moderna), versione amplificata della Passeggiata in piazzetta, mentre lasciava incompiuto nello studio Il Liston moderno (sul mercato antiquario nel 1990; Catalogo Bolaffi della pittura italiana dell'Ottocento, n. 19, Milano 1990, pp. n.n.), vivace rappresentazione di attualità cittadina, borghese e popolare, quasi a sottolineare, con queste due ultime opere, la complementarità dei due registri tematici costantemente perseguiti (Venezia nell'Ottocento..., 1983, pp. 188, 219).
All'esposizione era presente anche il già ricordato Traghetto della Maddalena, dipinto che si può ritenere emblematico del percorso artistico del Favretto in quanto rappresenta la sua più approfondita riflessione sul paesaggio. In questo ambito fu sicuramente centrale l'influenza di G. Ciardi, che indicò al Favretto il rigore della lezione macchiaiola filtrata attraverso la sensibilità luministica della tradizione paesaggistica lagunare. Questi elementi sono evidenti in Spigolatrici (Padova, coll. Montesi), La raccolta del riso nelle terre del Basso Veronese (Lugo Vicentino, coll. Malinverni), La mietitura del riso (già coll. Stramezzi), dipinti tra il 1877 e il 1878 (Perocco-Trevisan, 1986, pp. 20, 72 s.); la visione di scorcio e ravvicinata di queste immagini lascia il posto ad una ricerca di inquadrature più ampie ed equilibrate nell'incompiuto Le Zattere (Perocco-Trevisan, 1986, p. 183) del 1886-87 e nel Traghetto, indicando un tentativo di rinnovamento perseguito dal Favretto poco prima di morire (Boito, 1888, p. 1).
(fonte: Rossella Leone - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 45 [1995])