Delacroix, Eugène
Ferdinand Victor Eugène Delacroix, di famiglia della alta borghesia (il padre, ministro durante il direttorio e prefetto di Bordeaux; la madre, figlia dell'ebanista del re, J. F. Oeben), viene introdotto dallo zio (H. F. Riesener. allievo di David) nello studio di P. N. Guérin (1815), dove stringe amicizia con Théodore Géricault. Dal 1822 in poi espone regolarmente al Salon. suscitando fin dall'inizio la violenta opposizione degli ambienti accademici, che in lui identificano il caposcuola della corrente romantica. Grazie alla protezione di Adolphe Thiers, uno dei primi difensori delle sue opere, divenuto in seguito ministro, ottiene, dopo la rivoluzione del 1830. numerose commissioni ufficiali: ma solo nei 1857 entrerà all'Académie des Beaux Arts. Il suo diario (1822-24 e 1847-63) offre una immagine sofferta e vivacissima della sua coscienza critica e delle sue teorie sull'arte, che sarà ulteriormente precisata dai Saggi sui pittori del passato, scritti per un Dizionario delle belle arti (ma non pubblicati all'epoca). Se è il neo-classicista Guérin ad insegnargli i rudimenti del mestiere, è più verso Raffaello, studiato attentamente al Louvre, che si indirizzano le preferenze di Delacroix, come testimoniano le prime tele a soggetto religioso; presto lo attirano anche i coloristi (Tiziano, Veronese, Rubens), ammirati al Museo Napoléon. Gli anni della sua formazione sono segnati infine anche dall'influenza di Géricault. Il primo quadro che Delacroix espone al Salon del 1822 (La barca di Dante, Parigi, Louvre) testimonia questo complesso intreccio di apporti: gli stretti legami con la Zattera della Medusa di Géricault, sia per la scelta del tema sia per l'impiego del chiaroscuro caravaggesco: la costruzione per piani paralleli e il trattamento dei nudi secondo la tradizione neoclassica; l'evidente ammirazione per l'anatomia michelangiolesca. L'originalità del quadro consiste nella maniera tormentata in cui è rappresentato l'episodio, e nell'impiego del colore (le gocce d'acqua sulle figure di primo piano sono rese per la prima volta con macchie di colori puri il cui accostamento produce un effetto monocromatico). Alcuni quadri e schizzi di A.-J. Gros ispirati alle battaglie imperiali (che il pittore dopo la caduta di Napoleone teneva nascosti nel suo studio) suscitano poi in Delacroix la volontà di divenire un pittore di « grandes machines »: questa idea sarà realizzata solo parzialmente più tardi, per esempio con La battaglia di Poitiers (1830, Parigi, Louvre) e con La battaglia di Nancv (1831, Nancy, Musée des Beaux Arts); ma trascinato dal movimento romantico, l'artista illustra intanto un episodio della guerra dei greci per l'indipendenza, di ispirazione più byroniana che filoellenica, Il massacro di Scio (1824, Parigi, Louvre): se la tela deve molto agli Appestati di Jaffa di Gros, il cavaliere turco però ricorda ancora Géricault, e la vivacità dei colori è ereditata direttamente da Rubens.
L'Inghilterra attira ormai Delacroix ed egli vi si reca nel 1825, con gli amici pittori R.P. Bonington e Th. Fielding delicati acquerellisti. Il contatto con i pittori inglesi schiarisce la sua tavolozza; ma sono l'incontro con il teatro di Shakespeare e di Goethe (il Faust soprattutto) e la lettura di Walter Scott e di Byron, che lo toccano più profondamente. Tornato a Parigi, si lega maggiormente agli scrittori romantici (in particolare a Hugo), venendo così a precisare la scelta dei soggetti delle sue tele: patriottici (lotte dei greci), esotici, d'ispirazione letteraria (diciannove litografie per il Faust). Questo periodo culmina con La morte di Sardanapalo (1827, Parigi, Louvre), vasta e complessa composizione d'ispirazione byroniana (il re assiro, moribondo, fa uccidere le sue donne, i suoi cavalli, i suoi cani), nella quale Delacroix si riallaccia alla diagonale barocca di Rubens in una abbondanza di forme volteggiami e in un sottile gioco cromatico: il dipinto può essere considerato un saggio di quel gusto morboso per le scene crudeli che spesso ossessionava la generazione romantica e che perseguiterà Delacroix in tutta la sua opera; la Furia di Medea (1838, Lilla, Musée des Beaux Arts), che egli ricopia più volte fino al 1862, ne sarà un altro esempio. Sotto la spinta degli avvenimenti politici del luglio 1830 Delacroix dipinge La libertà che guida il popolo (1831, Parigi. Louvre). Il quadro è centrato sul simbolo bonapartista della bandiera tricolore, i cui colori ritmano la composizione. Questa opera conservatrice tanto nella forma quanto nel contenuto politico, dipinta da un uomo d'ordine poco incline agli sconvolgimenti rivoluzionari, è passata, e passa tuttora, come l'incarnazione delle aspirazioni popolari ma in realtà è ispirata più dal ricordo esaltante dell'impero che dall'adesione al movimento rivoluzionario. Un anno più tardi, dopo il recupero dei moti rivoluzionari a profitto della borghesia, i protettori di Delacroix sono al potere e gli procurano commissioni ufficiali, inaugurando così il suo periodo più brillante. Un viaggio nell'Africa settentrionale (1832) lo fa progredire nelle sue ricerche sul colore e gli fa scoprire l'ideale antico, colto attraverso una realtà vivente (« i romani e i greci sono là, alla mia porta: ho ben riso dei greci di David »); durante il viaggio, riempie sette album di schizzi e acquerelli, ai quali si ispirerà per le opere successive. Al Salon del 1834 espone il primo quadro importante di soggetto africano: Le donne d'Algeri nelle loro stanze (Parigi, Louvre): è una scena realista, fedele allo schizzo preso dal vivo, dove però il tema importa meno dell'armonia dei colori: il dipinto riposa sull'accostamento di toni complementari, frutto di laboriose ricerche. Per tutta la vita Delacroix si interessa all'analisi cromatica (gli effetti del sole e dell'ombra sugli oggetti), generalmente in maniera empirica ma senza rifiutare le teorie ottiche, come quelle di Chevreul, che verranno a confermare le sue esperienze. La stessa attenzione tesa a rendere l'atmosfera si ritrova negli altri numerosi quadri ispirati dal viaggio: tutti sono frutto di quell'esperienza diretta testimoniata dagli schizzi, e siamo ben lontani dall'oriente mitico e leggendario sognato da Byron, Chateaubriand o Nerval (Festa di nozze ebraiche in Marocco, 1837, Parigi, Louvre; Convulsionari a Tangeri, 1837, Minneapolis Institute of Arts, lascito di J. Jerome Hill; Attori comici arabi, 1848, Tours, Musée des Beaux Arts) A questa produzione si può riallacciare la pittura di soggetti d'animali, costituita da variazioni all'infinito sui temi del leone, del cavallo o della tigre (Leone e cinghiale, 1863, Parigi, Louvre). Nelle opere di grande formato che Delacroix realizza negli anni Quaranta si osserva la tendenza a rinforzare in senso classico la struttura della composizione, La giustizia di Traiano (1840, Rouen, Musée des Beaux Arts), dove la verticalità delle colonne sullo sfondo viene a spezzare il movimento di diagonali del primo piano, ne è un esempio: il quadro è costruito secondo lo schema che W. Friedlaender chiama « barocco classico » e che ritroviamo in non poche opere del periodo, particolarmente nell'Ingresso dei crociati a Costantinopoli (1840, Parigi, Louvre). Sempre più Delacroix si riallaccia alla tradizione, alla corrente umanistica generata dal rinascimento italiano: numerosi passi del diario testimoniano la crescente ammirazione per i classici. Nel momento in cui Courbet proclama il realismo, in cui Balzac smette di speculare sulla bellezza assoluta per interessarsi alle realtà del mondo sociale, Delacroix si rinchiude in uno stoicismo sdegnoso e abbandona i soggetti d'attualità: subito dopo la rivoluzione del 1848, da lui condannata, partecipa al Salon, inviando alcuni quadri di fiori. Soggiorna in campagna, meditando sull'arte del passato e sulle regole del bello; riprende vecchi temi trattandoli diversamente: dà così le varie rappresentazioni di Medea, una seconda versione delle Donne d'Algeri (1849, Montpellier, Musée Fabre) e ancora una variazione sul tema della barca (Il Cristo e gli apostoli sui lago di Genezareth, 1853, Baltimora, The Walters Art Gallery) dopo La barca di Dante del 1822 e Il naufragio di don Giovanni del 1840 (Parigi, Louvre). In questi lavori prevale una tendenza verso la semplificazione compositiva, verso la ricerca dell'unità drammatica e una maggiore integrazione delle figure nello spazio. Questa evoluzione si fa sensibile anche nei grandi insiemi decorativi: pitture allegoriche per il Salone del Re, nel Palais Bourbon (1833-37); decorazione della biblioteca del Palais du Luxembours (1841-46): soffitto della Galerie d'Apollon (Louvre) largamente ispirato dalla preesistente decorazione di Lebrun (1849-51): infine tre affreschi in una cappella dì Saint-Sulpice (Parigi, 1853-63) nei quali Delacroix non sviluppa un'idea decorativa veramente nuova, ma soltanto reinterpreta soluzioni rinascimentali e barocche. A dispetto del passivo omaggio alla tradizione, l'artista sovente riesce a dare impulso vitale ad alcune sue decorazioni, in particolare a Saint-Sulpice, nell'ultimo lavoro (Lotta di Giacobbe con l'angelo), dove utilizza ancora la tecnica cosiddetta enflochetage (tratteggi accostati e incrociati) che tende a rafforzare l'impressione delle vibrazioni luminose e per la quale si è voluto vedere in lui un precursore dell'impressionismo (P. Signac, 1899). Una delle preoccupazioni costanti dì Delacroix (oppositore di Ingres, partigiano accademico della « linea ») è di trovare una soluzione all'eterno problema dell'antagonismo disegno-colore (Cézanne si porrà lo stesso tipo di problema e sarà anche lui ossessionato dall'ideale dei pittori barocchi come Rubens e Veronese). Uno dei suoi più ardenti difensori, Baudelaire, mette in evidenza appunto la capitale importanza del colore nella sua opera: il soggetto, il motivo narrativo non costituisce per l'artista la sostanza del quadro, bensì un pretesto a creare « una festa per gli occhi ». Secondo Delacroix la pittura non deve esprimere idee (l'« idea » è legata storicamente alla linea), ma qualche cosa che le sia proprio, qualche cosa d'irrazionale che si avvicinerebbe alla musica e che non può esprimersi se non per mezzo dell'armonia dei colori.
(autore: Pierre Chessex in Enciclopedia Europea Garzanti)
Eugène Delacroix, legalmente iscritto nei registri del municipio di Charenton come quarto figlio di Victoire Oeben, discendente dalla famiglia dei Riesener, e di Charles Delacroix, sarebbe di fatto figlio naturale di Talleyrand, e tale filiazione spiegherebbe la protezione che questi gli concesse e che facilitò la carriera del giovane artista.
Orfano a sedici anni, Delacroix ricevette una buona formazione classica al liceo imperiale (oggi liceo Louis-le-Grand); nel 1816, per consiglio dello zio, il pittore Henri Riesener, entrò nello studio di Guérin. L’anno successivo era all’Ecole des beaux-arts; piuttosto ostile all’accademismo professato dal suo maestro, era anzitutto cosciente dell’impulso nuovo dato alla pittura da Gros e da Géricault.
Le prime opere (Vergine delle messi, 1819: chiesa di Orcemont, Vergine del Sacro Cuore, 1821: Ajaccio, Cattedrale) si limitano ancora all’imitazione dei maestri italiani del Rinascimento e del XVII sec.; ma la Barca di Dante (Parigi, Louvre), esposta al salon del 1822 e comperata dallo stato, rivela altre ispirazioni, in particolare quella della Zattera della Medusa di Géricault. Variamente accolta dalla critica, l’opera ebbe il caloroso sostegno di Adolphe Thiers. Nello stesso anno, il 3 settembre, Delacroix iniziava il suo Diario ai Louroux (Indre-et-Loire), dove trascorreva le vacanze presso il fratello Charles-Henri.
Nel 1824 Delacroix, che ormai parteciperà regolarmente al salon, espose il Massacro di Scio (Parigi, Louvre), grande composizione, ispirata dalla lotta dei Greci contro i Turchi, che lo colloca definitivamente tra i pittori romantici, in contrapposizione ai classici raccolti intorno ad Ingres, che nel medesimo salon esponeva il Voto di Luigi XIII (Montauban, Cattedrale).
Delacroix soggiornò in Inghilterra dal maggio all’agosto 1825. Già al corrente della pittura inglese attraverso Constable, scoperto al salon del 1824 e dai suoi amici, i fratelli Fielding e Bonington, egli ne approfondí la conoscenza nel contatto con le opere di Reynolds e Laurence che ne influenzarono la tecnica. Assistette a piú riprese a rappresentazioni shakespeariane, che lo appassionarono. In seguito i soggetti shakespeariani gli ispirarono spesso dipinti (Cleopatra e il contadino, 1839: The William Ackland Memorial Art Center, Usa, Amleto, 1839: Parigi Louvre; Morte di Ofelia, 1844: ivi. Desdemona maledetta dal padre, 1852: Reims, Museo Saint-Dénis), incisioni (serie di Amleto, 1843) e disegni. Ancora a Londra trovò un’altra fonte di soggetti drammatici assistendo ad un’opera ispirata dal Faust di Goethe. E la serie di diciassette litografie che eseguí l’anno successivo gli procurò vivi elogi da parte dello stesso Goethe. Trasse ispirazione anche da Byron: Marino Faliero (1826: Londra, Wallace Coll.), Naufragio di Don Juan (1841: Parigi, Louvre) e da altri tra cui Walter Scott: l’Assassinio del vescovo di Liegi (1829: ivi; 1833: in museo a Lione), Rebecca (1846: New York, mma; 1858: Parigi, Louvre).
Tornato in patria l’artista espose al salon del 1827 la Morte di Sardanapalo (Parigi, Louvre) in parte tratta dalla tragedia di Byron, la cui audacia scatenò gli attacchi della critica. Pur lavorando assiduamente – ritratti (Baron Schwiter, 1826: Londra, ng), composizioni storiche (Battaglia di Poitiers, 1830: Parigi, Louvre; Battaglia di Nancy, 1831: Nancy, mba), soggetti letterari – Delacroix condusse in quel periodo vita mondana, frequentando nei salotti parigini Stendhal, Mérimée, Dumas e George Sand, che rappresentò in piedi, dietro Chopin che improvvisa al pianoforte (doppio Ritratto oggi diviso tra il Louvre di Parigi, e Copenhagen Ordrupgaard Samling).
L’invio al salon dei 1831 della Libertà che guida il popolo (Parigi, Louvre), eco delle giornate rivoluzionarie del 1830, lo consacrò successore di Gros e di Géricault.
L’anno 1832 segna una svolta decisiva nella sua carriera; su raccomandazione di Mlle Mars, il pittore conobbe il conte Charles de Mornay (incaricato d’affari presso il sultano del Marocco, Mu- la- y ’Abd ar-Rah.ma- n), che lo aggregò alla sua ambasciata. Grazie ai taccuini di viaggio (tre al Louvre, uno a Chantilly) e alla Corrispondenza dell’artista, si può seguire questo viaggio in Marocco, ad Algeri e in Spagna quasi giorno per giorno. Il pittore vi ebbe la rivelazione non soltanto dell’antichità classica, ma anche della magia dei colori e della luce. I numerosi schizzi di cui riempiva i taccuini gli offrono negli anni successivi un prezioso repertorio. Il ritorno di Delacroix in Francia coincise con un periodo d’intensa attività. Impegnato in un programma ininterrotto di decorazioni murali, che ebbe fine soltanto alla vigilia della morte, il maestro le realizzava parallelamente a quadri sempre piú numerosi.
Pur lavorando, con l’assistenza di alcuni fra i suoi allievi (Andrieu, Lassalle-Bordes), alle decorazioni ordinategli da Thiers per il salone del re e la biblioteca di palazzo Borbone (1833-38; 1838-47), poi per la biblioteca del palazzo del Lussemburgo (1840-46), Delacroix non cessò infatti di esporre al salon. E i ricordi del Marocco gli fecero allora dipingere alcune delle opere piú importanti, ove la foga romantica degli esordi è abbandonata a favore di una composizione serena ed equilibrata: le Donne di Algeri (1834: Parigi, Louvre); Matrimonio ebraico in Marocco (1841: ivi); il Sultano del Marocco (1845: Tolosa, Museo degli Agostiniani), Commedianti o buffoni arabi (1848: Tours, mba); le Invasate di Tangeri (1836-38 ca.: Stati Uniti, coll. priv.). La medesima sintesi tra il lirismo dell’immaginazione e l’interpretazione classica compare nelle opere storiche realizzate in questo periodo, la piú emozionante delle quali è senza dubbio l’Entrata dei crociati a Costantinopoli (1841: Parigi Louvre).
Peraltro lo studio della natura offriva al pittore, dal 1842, nuovi soggetti d’ispirazione: mazzi di fiori – realizzati per la maggior parte a Nohant, presso George Sand –, paesaggi di montagne o di foreste, marine che rivelano un’osservazione acuta e insieme una fervida sensibilità che preannuncia gli impressionisti (il Mare visto dalle alture di Dieppe, 1852: Parigi, Louvre). Infine lo studio degli animali, specialmente selvatici, gli fece dipingere tra il 1848 e il 1861 numerose cacce alla tigre o al leone, pretesti per molteplici variazioni di forme e colori (Caccia al leone, schizzo: Parigi, mo).
Gli ultimi dieci anni della vita di Delacroix sono caratterizzati dalla realizzazione di tre importanti complessi decorativi: il soffitto centrale della Galleria di Apollo al Louvre (1850), il Salone della Pace nel municipio di Parigi – sfortunatamente distrutto da un incendio nel 1871 (schizzo del soffitto al Museo Carnavalet) – e la cappella dei Saints-Anges nella chiesa di Saint-Sulpice.
Affetto da laringite tubercolare, l’artista, che nel 1855 trionfò all’esposizione universale con 42 tele molte delle quali nuove (Caccia al leone: Bordeaux, mba), viveva ormai in disparte.
Eletto il 10 gennaio 1857 a far parte dell’Institut de France dopo sette candidature fallite, Delacroix espose per l’ultima volta al salon del 1859 (Ovidio in esilio presso gli Sciti: Londra, ng; Erminia tra i pastori: Stoccolma, nm) e si dedicò quasi esclusivamente alla decorazione di Saint-Sulpice, che portò a termine nel 1861, con uno sforzo sovrumano. Due grandi composizioni adornano le pareti laterali della cappella: Eliodoro scacciato dal Tempio, Lotta tra Giacobbe e l’angelo.
In seguito dipinse solo poche tele; il 13 agosto 1863 morí nell’appartamento che dal 1857 occupava al n. 6 di place de Furstenberg a Parigi.
L’anno successivo, nel 1864, una grande vendita disperse, come egli aveva voluto, tutto il contenuto del suo studio. Le sue ricerche nel campo dei colori e dei loro complementari, il tocco «sfiocchettato», preludono agli studi degli impressionisti, come la sua rapidità e i suoi sfondi violenti preannunciano la pittura fauve, espressionista e persino astratta.
(fonte: Maurice Sérullaz in Storia dell'Arte Einaudi)