Boldini, Giovanni
Giovanni Boldini nacque a Ferrara il 31 dicembre 1842, ottavo dei tredici figli del pittore Antonio e di Benvenuta Caleffi. Incominciò a disegnare molto presto, e a sedici anni era qualcosa di più di un principiante, come attesta il piccolo Autoritratto della collezione Baldi Vandeghini di Ferrara, dipinto con sicura scioltezza nell'anno 1858. Suo unico maestro fu il padre, che non poté però trasmettergli che la perizia tecnica, lontano com'era da ricerche personali. All'infuori dell'esempio del padre - e naturalmente delle opere dei pittori ferraresi del Rinascimento, che egli studiò e ricopiò fin da ragazzo - il Boldini poteva trovare ben poco nella provinciale Ferrara, chiusa a ogni novità di cultura. Frequentava l'antiquario F. Pasini, suo padrino, che acquistava le copie dall'antico del padre del Boldini, e soprattutto il salotto della nonna paterna Beatrice, in seconde nozze Federzoni, ove maturò quel gusto per l'eleganza e la vita galante che rimarrà sempre una delle componenti fondamentali del suo carattere. Nel 1862, approfittando del denaro ereditato da uno zio canonico e dell'esonero dal servizio militare ottenuto per la bassa statura, il Boldini si recò a Firenze, in quegli anni la città culturalmente più viva d'Italia. A Firenze, oltre e più che l'Accademia - ove insegnavano S. Ussi ed E. Pollastrini e dove ebbe come condiscepoli F. Vinea e R. Sorbi - il Boldini frequentò gli artisti e i critici che si riunivano al caffè Michelangiolo, il cenacolo dei Macchiaioli, che lo interessarono ai problemi dell'arte europea, di cui poté anche studiare direttamente più di un esempio significativo nella ricca collezione Demidov. Ma la vita a Firenze non fu per il Boldini troppo facile. Per vedere ammessi a una pubblica esposizione i suoi quadri fu costretto ad attendere fino al 1867. Probabilmente, inoltre, egli non dovette trovarsi troppo a suo agio tra i polemici colleghi toscani, che pure, entro certi limiti, lo influenzarono in questa prima attività nella scelta dei colori e nell'interesse per il "vero". Forse non gli riuscì neppure di comprendere appieno il loro entusiasmo per i francesi: alla "natura" dei Macchiaioli egli preferiva il ritratto, già coltivato con successo a Ferrara e ripreso con nuova scioltezza a Firenze: ritrasse amici e conoscenti (cfr. Tinti, 1934), come G. Abbati (Buenos Aires, coll. H. Bracaras), il Fattori, il Cabianca (Milano, coll. Giussani), il Martelli (Ferrara, Museo Boldini), il Duca di Sutherland, Lewis Brown, le Sorelle Laskaraki (1867, Ferrara, Museo Boldini).
Oltre che gli amici Macchiaioli, il Boldini frequentò assiduamente alcuni ricchi stranieri che gli commissionavano ritratti e che lo accoglievano nelle loro ville. Fu uno di questi, sir Walter Falconer, che nel 1867, invitandolo alla Esposizione universale, gli offrì l'occasione di vedere per la prima volta Parigi, ove poté ammirare le opere di Gérôme e di Meissonnier presentate al Salon, e dove certo dovette essere colpito da Courbet e da Manet. Nel corso di questo viaggio, a Montecarlo, il Boldini dipinse il Ritratto di generale spagnolo (Valdagno, coll. G. Marzotto). Un altro inglese l'ospitò nel 1870 a Londra, offrendogli il suo studio e introducendolo nell'alta società. L'appoggio del protettore e del duca di Sutherland gli permise di trovare molto lavoro: eseguì soprattutto piccoli ritratti (tra i quali quelli della Duchessa di Westminster e di Lady Holland), in cui è rintracciabile, come in molte altre opere del Boldini, l'esempio dei maestri inglesi della fine del '700 e dell'inizio dell'800. Ma Londra non lo soddisfece. Alla fine del 1870 era già di ritorno in Toscana, dove dipinse a tempera alcune scene campestri sulle pareti della villa dei Falconer ("La Falconiera" presso Pistoia, oggi proprietà della vedova Boldini).
Nel 1871 lasciò nuovamente l'Italia per recarsi a Parigi, che fu, da allora, la sua seconda patria. Nella capitale francese alloggiò - convivendo con Berthe, la sua prima modella parigina - al n. 12 dell'avenue Frochet e quindi, dal 1872, al n. 11 di place Pigalle. "Nato sotto una buona stella", come scriveva nel 1876 De Tivoli a Banti da Parigi (in Lettere dei Macchiaioli, 1953, p. 251), il Boldini riuscì quasi subito a ottenere un vantaggioso contratto con Goupil, uno dei più affermati mercanti d'arte europei, e fu presto accettato nelle esposizioni più importanti. Dipinse per qualche tempo, con una certa minuzia, quadri di genere - risentendo anche dell'influsso del Fortuny - e di costume (quali Luigi XIV a Versailles), nonché molte vedute delle piazze e delle strade di Parigi (Place Pigalle, firmato e datato 1882, Milano, coll. Angelo Rizzoli; Place Clichy, Valdagno, coll. G. Marzotto) dai toni argentei e grigiastri che ricordano molto da vicino De Nittis.
Più che nella Parigi intellettuale, il Boldini si inserì in quella mondana. Nel 1874 espose, suscitando molto interesse, al Salon du Champ-de-Mars. Nello stesso anno si legò sentimentalmente alla contessa Gabrielle de Rasty. Nel 1876 si recò in Olanda e studiò la tecnica di Frans Hals, e ne fu stimolato a rompere gli indugi descrittivi dei primi quadri e a servirsi di una pennellata più veloce e sintetica, del resto già precedentemente tentata nelle figurette che popolano le piazze delle sue vedute parigine.
Prese così gradualmente forma la tipica "maniera" del Boldini: impetuosa, violenta, di un virtuosismo eccezionale. Il pittore tratta con estrema spigliatezza i suoi soggetti: cavalli in movimento, avventori al caffè, spettatori a teatro, passanti per la strada, visioni di campagna e di città (si vedano le Vedute delparco di Versailles eseguite in più riprese ma soprattutto nel 1895), i ritratti di personaggi illustri (come Robert de Montesquiou, 1897, Parigi, Museo Nazionale d'Arte Mod.; o G. Verdi, pastello, Roma, Gall. Naz. d'Arte Mod.; altro ritratto di Verdi, del 1886, a Milano, Casa di riposo per musicisti G. Verdi), ma soprattutto dame attraenti, spesso tra le più note della vita mondana, di cui riuscì a rappresentare con estrosa efficacia la instabile psicologia.
Non sempre, naturalmente, il Boldini riuscì a creare capolavori. Spesso - e più frequentemente negli anni dopo il 1900 - egli si lasciò prendere la mano dalla sua abilità ed eseguì opere meccaniche, esteriori, troppo legate alla sigla e allo schema. È per questo principalmente che i critici migliori hanno rimproverato al Boldini di aver troppo concesso alla moda e alla piacevolezza. Contribuì al rafforzarsi di questo giudizio il sempre crescente successo ottenuto dal pittore, che sembrò giustificare l'appellativo di pittore mondano. Il Boldini raggiunse infatti le mete più ambiziose: Emiliana Conca de Ossa (il cui ritratto, oggi a Brera, gli valse la medaglia d'Oro al Salon del 1889), Lina Cavalieri (ritratta più volte tra il 1900 e il 1921; il ritratto del 1921 fu esposto a Milano nel 1967: v. Mascherpa, p. 24 n. 36), Cléo de Mérode (1901, New York, coll. Wildenstein), la marchesa Casati (1910, Roma, Gall. Naz. d'Arte Mod.) e mille altre celebrità fecero a gara per essere ritratte da lui.
Nel 1886 lasciò place Pigalle e si trasferì nell'elegante boulevard Berthier. Nel 1889 fu nominato commissario per la sezione italiana all'Esposizione internazionale di Parigi. Nell'autunno del 1897 si recò a New York ed espose nella galleria Wildenstein. Nel 1900 presentò all'Esposizione universale di Parigi il ritratto di Whistler (Brooklyn, N. Y., Museo) e quello della Infanta Eulalia (Ferrara, Museo Boldini). Nel 1895, 1903, 1905, 1912 fu invitato alla Biennale di Venezia (nel 1895 era nel Comitato di patrocinio) e nel 1909 ottenne addirittura l'apoteosi al Salon.
Con l'avvicinarsi della vecchiaia e col tramontare della belle époque di cui era stato un protagonista, il Boldini incominciò a mostrare segni di stanchezza: anche la sua pittura risentì di questo declino e si fece più decorativa, anche se non mancarono, proprio in questo periodo, opere validissime, come le Visioni di spiaggia degli anni attorno al 1910, le Vedute di Venezia del 1911 (in varie coll. private) ed i bellissimi schizzi di vita cittadina in cui sono portati a fondo gli studi di movimento. Con la grande guerra il Boldini fu costretto a lasciare Parigi e a soggiornare successivamente a Londra e a Nizza. Dopo la conclusione del conflitto tornò però di nuovo a Parigi, dove nel 1929 sposò la giornalista italiana Emilia Cardona. Poco più di due anni dopo, il 12 gennaio 1931, il Boldini si spense a Parigi, nella casa del boulevard Berthier. Secondo il suo desiderio fu sepolto nel cimitero di Ferrara. Nello stesso anno (7-31 maggio) fu organizzata una mostra all'Hôtel J. Charpentier di Parigi.
Nel 1936 è stato aperto in Ferrara, nel palazzo dei Diamanti, il Museo Boldini che conserva 13 oli, numerosi disegni, pastelli, acquerelli, acqueforti, oltre a cimeli vari, donati nel 1935 dalla signora Emilia Cardona Boldini
(fonte: Luciano Caramel in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11, 1969)
La prima fase della pittura di Boldini (avviato all’arte a Ferrara dal padre pittore e restauratore) si svolse a Firenze nel decennio seguente al 1862, e fu segnata dalla parziale ma fruttuosa incidenza dei contatti col gruppo dei Macchiaioli (Le sorelle Laskaraki, 1867: Ferrara, Museo Boldini; le tempere murali della villa La Falconiera, 1868-70 ca.). L’abile scelta dei soggetti e una fattura brillante e minuziosa, dalla pennellata untuosa e vibrante, gli valsero un buon successo, culminato nei viaggi a Londra e a Parigi (1869-71) che consacrarono la sua vocazione mondana. A Parigi, dove si trasferí definifivamente nel 1872, s’inserí nell’ambito dei pittori che gravitavano intorno al Salon e ai mercanti come Goupil, traducendo in linguaggio elegante e apprezzato dal pubblico il nuovo interesse per la vita contemporanea. Dipinse in quegli anni molte vedute di Parigi (Place Clichy, 1874), e iniziò la serie dei ritratti parigini cui è rimasto legato il suo nome, valendosi talvolta di una pennellata piú libera e nervosa, che anticipa il suo stile definitivo (Gabrielle de Rasty, 1878). Maturò cosí quella maniera febbrile e abbreviata che si realizzò pienamente intorno al 1886, quando, ormai celebre, faceva parte egli stesso di quel mondo cosí acutamente illustrato dai suoi amici Sargent, Helleu e Sem. Fu anche amico di Manet e soprattutto di Degas. Nei decenni che seguirono davanti alla sua tavolozza passarono i nomi piú prestigiosi della Parigi fine secolo (tra i ritratti piú noti, Robert de Montesquiou, 1897: Parigi, Musée d'Orsay), e si moltiplicò una produzione affidata ora a un piú facile brio e quasi arroganza del segno, ora alla raffinatezza dei toni elettrici e pungenti (Ritratto dell’attrice Lanthelme, 1907: Roma, GNAM). Nel 1897 Boldini fu anche in America, esponendo con successo in una galleria al n. 303 della Fifth Avenue a New York; nel 1900 presentò all’Esposizione universale il Ritratto di Whistler. La sua consacrazione definitiva a ritrattista principe del suo tempo si ebbe al Salon del 1909 (ritratti della Marchesa Casati, della Contessa di Pourtalès). Dipinse anche scene di genere e paesaggi.
(fonte: Anna Maria Mura ed altri in Storia dell'arte Einaudi)